IL PAGINONE

Diplomazia allo stato liquido

I social network diventano strumento fondamentale nel lavoro di gestione dei rapporti fra Paesi e nella creazione di relazioni forti con la società civile. All’insegna della trasparenza

Pubblicato il 01 Giu 2013

Oggi Talleyrand avrebbe un profilo Facebook, un account Twitter, organizzerebbe video-conferenze in streaming e, molto probabilmente, firmerebbe un seguitissimo blog.

Dalle segrete stanze del potere come quelle che l’ambasciatore francese a Londra era solito frequentare nel XIX secolo la diplomazia si è trasferita sul web. Un mondo abituato a nutrirsi per secoli di discrezione, formalità e tempi lunghi sta utilizzando sempre più Internet per comunicare nel segno della trasparenza, della rapidità e dell’interazione. Il debutto ufficiale della digital diplomacy è avvenuto il 3 ottobre 2011 con l’apertura della prima ambasciata statunitense solo virtuale in Iran, dopo un congelamento delle relazioni bilaterali durato oltre 30 anni. Ma la diplomazia aveva cominciato a interagire con la rete già nel periodo successivo all’11 settembre 2001.

Il diplomatico americano Richard Hoolebroke, artefice degli accordi di Dayton (novembre 1995), sottolineò che, nonostante la “schiacciante egemonia nel settore delle nuove tecnologie”, gli Usa comunicavano ancora, soprattutto con il mondo musulmano, “usando tecniche pateticamente obsolete e con un apparato burocratico non all’altezza”. Sono così cominciati i primi “cinguettii” su Twitter e le conversazioni con i cittadini su Facebook da parte di diplomatici statunitensi, seguiti a ruota da molti altri.

In Gran Bretagna, attualmente, una ventina di ambasciatori sono su Twitter, in Russia il ministero degli Esteri ha oltre 40 account sulla piattaforma di microblogging. E persino in Cina, dove la rete è sottoposta a censura in patria, Internet viene usato come strumento di propaganda diplomatica all’estero.

In altri Paesi sono i singoli politici a spingere verso l’espansione della diplomazia online. Oltre al presidente americano Barack Obama, che vanta quasi 20 milioni di follower su Twitter, era molto attivo in rete il defunto capo di Stato venezuelano Hugo Chavez, con 3,4 milioni di seguaci, e lo è tuttora il primo ministro russo Dmitry Medvedev (1,5 milioni). Anche da nazioni economicamente più arretrate arrivano sorprese. È il caso della Cambogia dove, grazie a una campagna di comunicazione su Facebook, in meno di un anno il sito dell’ambasciata del Regno Unito a Phnom Penh è passata da 200 a 56mila likes.

Di fatto gli Usa sono già entrati nella “fase 2”. “La diplomazia digitale – spiega l’ambasciatore d’Italia negli Stati Uniti, Claudio Bisogniero – va ormai al di là delle singole piattaforme. Essere su Twitter o Facebook di per sé non basta più. Occorre utilizzare i canali digitali per sviluppare un dialogo interattivo con il pubblico, per dire qualcosa ma anche per ascoltare”.

Bisogniero cita l’iniziativa “2013, Anno della Cultura italiana negli Stati Uniti”, con oltre 200 eventi raccontati attraverso un sito ad hoc, i social media e immagini video pubblicate online, più l’account personale del diplomatico. Inoltre l’ambasciata ha un Social Media Hub (www.twiplomacy.it/usa), strumento che fotografa in un’unica pagina la sua attività multimediale e dei vari social media con cui lavora.

L’utilizzo dei media digitali ha anche un ruolo importante negli scenari di guerra, per documentare storie non coperte dai media tradizionali, ed è diventato fondamentale in momenti di crisi ed emergenza: per esempio il primo tweet da Haiti è stato postato 7 minuti dopo il terribile terremoto del 12 gennaio 2010 e 24 ore prima della diretta televisiva. “Nel caso dell’Uragano Sandy l’autunno scorso – spiega ancora l’ambasciatore Bisogniero – abbiamo diffuso con successo numeri di emergenza e informazioni attraverso i nostri canali social per tenere informati i connazionali. E abbiamo fatto lo stesso in occasione del recente attentato a Boston, facendo circolare numeri e notizie utili per gli italiani presenti in città”.

In ogni caso dei diplomatici in carne e ossa non si può fare a meno. “Diplomazia tradizionale e diplomazia digitale devono incontrarsi, convivere e interagire” sostiene Stephen Anderson, portavoce dell’Ambasciata Americana in Italia.

E poi, con tanti Talleyrand in rete, c’è sempre il rischio di incidenti diplomatici. A giugno 2012 Paul Krugman, Nobel per l’economia, criticava in un articolo la politica economica dell’Estonia. Per tutta risposta il presidente del Paese, Toomas Hendrik, lo ha definito su Twitter “compiaciuto di sé, prepotente e paternalistico”. L’auspicio è che la diplomazia virtuale non scateni mai guerre reali.

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