Il ministero allo Sviluppo economico ha appena pubblicato i primi bandi che chiuderanno il digital divide banda larga, nel 2014. Ma non facciamo l’errore di credere che sia tutto finito qui: ci aspetta un lungo percorso. Sono tante le questioni in ballo: se il coordinamento del ministero riuscirà ad avere la meglio sulle forze centrifughe; se si troverà un giusto ruolo alle tecnologie alternative a quelle tipicamente usate contro il digital divide: l’Lte e il satellite. Infine, se questo sforzo per dare la banda larga a tutti (2 Megabit reali) resterà isolato e fine a se stesso o rientrerà in un più ampio piano di piena digitalizzazione dell’Italia: verso la banda larghissima e la diffusione dei servizi. Verso l’evoluzione della cultura digitale e della domanda. Sono aspetti ben presenti agli addetti ai lavori, agli esperti e agli operatori che stanno analizzando i bandi, come risulta da questa indagine del Corriere delle Comunicazioni. “La chiusura del digital divide infrastrutturale di base non sia vista come un traguardo. Ma come l’opportunità per cambiare davvero il modo in cui l’Italia si fanno le cose e si usano i servizi: con un passaggio dall’analogico al digitale”, riassume Francesco Sacco, dell’Università Bocconi di Milano e tra i principali esperti di banda larga italiani.
Lo sforzo per cambiare rispetto alle modalità passate e anche la difficoltà di riuscirci sono fattori presenti negli stessi bandi. Sono i primi in cui lo Stato incentiva la costruzione di reti d’accesso da parte degli operatori. Ma sono anche il culmine di un piano con cui l’Italia tenta un coordinamento centrale per la lotta al digital divide. Una regia, insomma, quando finora in campo ci sono stati perlopiù giocatori sparsi: Regioni, soprattutto, in accordo con gli operatori privati.
Lo sforzo centralizzatore riflette una visione che è la stessa dell’Agenda digitale: solo con un piano strutturato e coeso, nazionale, è possibile traghettare l’Italia verso un nuovo mondo di servizi e infrastrutture. Tuttavia non è facile cambiare rotta di colpo e i bandi lo confermano. In base ai primi annunci ministeriali, ci doveva essere solo un bando per la rete d’accesso contro il digital divide; invece ce ne saranno alcuni, per le diverse aree geografiche. Il primo è uscito a maggio, 15,7 milioni stanziati per Lazio, Marche, Liguria. Altri seguiranno, per un totale di 232 milioni di euro di fondi pubblici (a cui andrà sommato il contributo degli operatori, almeno il 30% addizionale).
Sviluppo economico si è reso conto che la situazione era troppo complessa e variegata – per l’assenza di coordinamento precedente – per sistemare tutto con un solo bando; avrebbe rischiato solo ritardi. Per due motivi, in sostanza: troppe differenze infrastrutturali tra i diversi territori, tanto che alcune regioni riusciranno ad annullare il digital divide già entro il 2013 (come raccomandava l’Europa), mentre altre solo nel 2014 (con l’aiuto appunto dei bandi). Ma ci sono anche tanti piani commerciali in gioco, di numerosi operatori (a volte ultra locali), con diverse tecnologie, wired e wireless (3G, Lte, Hiperlan, Wimax…). La normativa impone al ministero di fare bandi solo in zone in fallimento di mercato totale, cioè in quelle escluse dai futuri piani degli operatori, che li hanno dovuti comunicare al ministero. “Ma si rischia una forte aleatorietà”, dice Gabriele Falciasecca, dell’Università di Bologna e noto esperto di reti. “Il ministero dovrà fare in modo che gli operatori rispettino l’impegno di coprire le zone comunicate”, aggiunge. Da Sviluppo economico confermano che vigileranno su questo aspetto e se l’operatore non sta ai patti si affretteranno a mettere quelle zone nei bandi di prossima pubblicazione. Ma allora servirà, almeno per i primi mesi, una certa flessibilità anche nelle risorse da stanziare.
L’altra incognita, frutto della complessità italiana, riguarda le tecnologie. In particolare non è chiaro ancora il ruolo effettivo di satellite e Lte. Falciasecca e Oscar Cicchetti, responsabile strategy di Telecom Italia, concordano che probabilmente i bandi lasceranno ancora qualche frazione di punto percentuale di digital divide, colmabile solo con il satellite: allora servirebbe un piano nazionale per equiparare, in quelle zone, il costo del satellite a quello dell’Adsl. Il ruolo dell’Lte è incerto per due motivi. Primo, non si sa se qualche operatore Lte vincerà i bandi, in certe zone: sarebbe la prima volta che una tecnologia mobile viene sovvenzionata dallo Stato. Secondo, gli operatori che hanno frequenze 800 MHz (Telecom, Vodafone e Wind) hanno obblighi di coprire alcune zone in digital divide entro il 2017. Sarebbe preferibile anticipare questa data al 2014, lo stesso termine dei bandi, per semplificare il piano d’azione. Ma servirebbero incentivi pubblici per accelerare gli obblighi in capo agli operatori (come suggerito da Telecom e Vodafone). Insomma, serve ancora un lavoro ulteriore di regia. E non solo da parte del ministero ma di tutto il governo e della PA. “I bandi vanno nella giusta direzione, ma è importante il sistema in cui sono inquadrati”, dice Sacco. “Gli effetti positivi dell’annullamento del digital divide arriveranno soltanto se anche altre condizioni saranno risolte: sviluppo di nuovi servizi capaci di fare da stimolo alla domanda di banda larga; un processo di alfabetizzazione ampio e un processo trasversale, capace di attivare tutte le energie positive del Paese”.