Cala il numero dei laureati che intraprendono la libera professione, si riduce il numero degli iscritti a un ordine professionale – nonostante l’aumento della componente femminile e dei datori di lavoro – e l’Italia perde il suo primato europeo. Intanto crescono i redditi, ma permane un forte squilibrio tra Nord e Sud e tra uomini e donne.
Sono le tendenze che emergono dall’VIII Rapporto sulle libere professioni in Italia di Confprofessioni. Presentato a Roma alla presenza del ministro del Lavoro, Marina Elvira Calderone, il report è stato così commentato dal presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella: “Digitalizzazione e sostenibilità sono le chiavi per il rilancio delle professioni e del Paese”.
Calo del 3,7% nel numero di liberi professionisti dopo 10 anni di crescita
Il rapporto rivela che nel 2022 poco più di 53 mila liberi professionisti hanno gettato la spugna. Dopo oltre 10 anni di crescita continua, interrotta solo dalla pandemia, si ferma la corsa dei liberi professionisti in Italia, che nel 2022 si attestano a 1.349.000 unità, segnando una flessione del 3,7% rispetto al 2021. Il bilancio diventa ancor più pesante se si considera che negli ultimi quattro anni circa 76 mila professionisti hanno abbandonato la loro attività, con una variazione negativa del 5%. Il settore professionale si muove in netta controtendenza rispetto alle dinamiche occupazionali della forza lavoro in Italia. Tra il 2018 e il 2022, infatti, il numero di occupati è cresciuto dello 0,6% ma è stato assorbito quasi esclusivamente dal lavoro dipendente, che aumenta di oltre 765 mila unità, a scapito di quello indipendente che nello stesso periodo perde 291 mila posti di lavoro. Non solo, il calo del comparto professionale si ripercuote anche a livello europeo, dove l’Italia con 48 liberi professionisti ogni mille occupati perde la leadership e cede il passo ai Paesi Bassi, che detengono il primo posto per tasso di presenza della libera professione, con 50 liberi professionisti ogni mille occupati.
Alla base quadro economico e declino demografico
L’incertezza di un quadro economico assai complesso, insieme con il preoccupante declino demografico del Paese, sta modificando profondamente le caratteristiche del settore, che se da una parte vede ridursi il numero degli iscritti a un ordine professionale, dall’altra non riesce più ad attrarre le giovani leve. Nonostante l’aumento del numero di laureati, infatti, si registra una scarsa propensione verso la libera professione soprattutto tra le attività giuridiche, gli architetti, gli agronomi e i veterinari. Tra il 2018 e il 2022 il numero di laureati che hanno scelto la libera professione è passato da 20.795 a 18.644, registrando un calo del 10,3%. All’appello mancano 2.151 laureati, che hanno preferito un lavoro dipendente.
La flessione degli iscritti colpisce quasi tutte le categorie professionali e risulta più marcata nel Mezzogiorno, che sconta una massiccia ondata migratoria verso le regioni del Centro e del Nord. Un fenomeno che ridisegna la configurazione degli studi. Se durante la pandemia i più penalizzati erano stati gli studi con dipendenti, nel 2022 si inverte la tendenza, con il recupero di quasi 11 mila professionisti datori di lavoro (e sono le donne a trascinare la crescita); mentre cala di circa 63 mila unità il numero di professionisti senza dipendenti. Un dato che indica una tendenza a rafforzare i livelli occupazionali e, quindi, una spinta verso i processi aggregativi degli studi professionali.
Stella: “Un quadro preoccupante, ma ci sono segnali incoraggianti”
“Calo demografico, basso appeal delle libere professioni tra i giovani laureati e flessione del numero complessivo degli iscritti agli ordini professionali. L’VIII Rapporto sulle libere professioni in Italia ci consegna un quadro fedele e piuttosto preoccupante di una realtà economica che subisce le conseguenze di una congiuntura negativa proprio quando l’intero settore è alle prese con una difficile transizione dettata dalla forza dirompente delle tecnologie digitali, che impongono notevoli investimenti per ridisegnare i modelli organizzativi all’interno degli studi professionali”, commenta il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella. “In questo scenario, la contrazione del numero di iscritti agli albi professionali diventa ancor più preoccupante alla luce della scarsa propensione dei giovani neo laureati verso la libera professione. Un fenomeno aggravato dagli squilibri demografici e dal profondo divario tra le regioni del Sud e quelle del Nord. Tuttavia – prosegue Stella – all’interno del Rapporto ci sono segnali incoraggianti, per esempio, sul fronte dell’occupazione e l’aumento dei datori di lavoro professionisti è un chiaro sintomo della necessità di accelerare i processi di aggregazione, anche tra discipline diverse, per favorire la crescita dimensionale degli studi professionali e sostenere la loro competitività sul mercato nazionale e internazionale. L’insieme di questi fattori ci spinge a sottolineare l’esigenza di un intervento della politica per rendere più attrattivo e competitivo il nostro settore. E i segnali che arrivano in questa direzione dalle forze di Governo e dalle opposizioni ci lasciano ben sperare”.
L’impulso del Pnrr e del RepowerEu per valorizzare le competenze
In uno scenario caratterizzato da poche luci e molte ombre, il rilancio delle libere professioni si gioca sulla transizione digitale ed ecologica per promuovere la sostenibilità e lo sviluppo della dimensione imprenditoriale degli studi professionali. In questa direzione, segnala il Rapporto, la revisione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e il meccanismo del REPowerEU rappresentano un nuovo impulso per valorizzare le competenze dei professionisti e per recuperare il ritardo nella “messa a terra” di una strategia di sviluppo del sistema professionale italiano. La duplice transizione impone una risposta adeguata del tessuto professionale rispetto alla domanda crescente del mercato di figure lavorative con competenze avanzate nell’ambito delle discipline Stem e in settori ad alta innovazione, anche per risolvere il problema del mismatch tra domanda e offerta di competenze. In questo campo, occorre spendere energie e creatività per immaginare nuove figure professionali ibride, che sappiano impiegare le competenze di area Stem e metterle al servizio delle nuove esigenze del mondo del lavoro professionale.
“Le professioni sono al servizio delle sfide dalla transizione digitale ed ecologica”, commenta Stella. “La digitalizzazione della pubblica amministrazione, la sanità territoriale, la rigenerazione urbana, l’agricoltura sostenibile, la riduzione del rischio idrogeologico e lo sviluppo delle energie rinnovabili sono obiettivi ambiziosi che il nostro Paese può raggiungere con lo sviluppo delle competenze e delle infrastrutture professionali”.