GOING LOCAL ITALIA 2013

Agenda Digitale, Italia alla prova broadband

Lo stato di avanzamento del piano al centro dell’evento organizzato dalla Commissione Ue oggi a Roma, media partner il Corriere delle Comunicazioni. A confronto i protagonisti istituzionali e industriali del settore Ict

Pubblicato il 03 Giu 2013

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Italia in ritardo per sviluppo e diffusione della banda larga. Un gap che si riflette sullo stato di avanzamento dell’Agenda Digitale, dove la mancanza di infrastrutture e lo scarso utilizzo della Rete da parte dei cittadini penalizzano l’economia. Un gap che tuttavia può rappresentare un’occasione di ripresa e di convergenza, per far ripartire gli investimenti. Lo stato dell’arte dell’Agenda Digitale e della banda larga in Italia è stato analizzato oggi in occasione dell’iniziativa organizzata oggi a Roma presso gli uffici di rappresentanza della Commissione, in occasione dell’evento “Going Local Italia 2013”, di cui il Corriere delle Comunicazioni è media partner. La seconda giornata dell’iniziativa andrà in scena domani a Milano. L’Agenda digitale è una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020, che fissa obiettivi per la crescita nell’Ue da raggiungere entro il 2020. L’Agenda, presentata dalla Commissione nel 2010 e rivista alla fine del 2012, ha l’obiettivo di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per favorire innovazione e crescita. Giunta alla sua terza edizione in Italia, l’iniziativa ‘Going local’ vuole arrivare a capire e far capire meglio le situazioni nazionali e le sfide di fronte a ciascuno dei Ventisette.

L’Italia arranca, ma è tempo di agire: serve cogliere l’occasione del digitale come opportunità di ripresa per investimenti e miglioramento della produttività. “L’Italia fatica, ci sono tanti italiani che non si sono mai avvicinati a Internet. Ci sono tante imprese che non vendono ancora online, c’è poca banda larga. Questo è un problema, ma è al tempo stesso un’opportunità. Speriamo che l’Italia presto ricominci a rincorrere i paesi piu’ virtuosi”. Roberto Viola, vice direttore della DG Connect della Commissione Europea, riassume così situazione e problemi dell’Italia riguardo all’Agenda digitale. Un’iniziativa che “trasferisce” l’Agenda digitale europea per due giorni in Italia, oggi a Roma e domani a Milano, gli ‘Stati generali dell’Agenda digitale’ si concentrano sullo sviluppo di reti a banda larga, sul contrasto al ‘Digital e Knowledge Divide’ e l’alfabetizzazione digitale.

“Ci sono tanti finanziamenti dell’Europa ma purtroppo l’Italia non li sfrutta – ha spiegato Viola – ci sono diversi miliardi di euro di fondi strutturali di questo primo ciclo che non sono ancora stati spesi. Ce ne saranno altri e spendere bene i fondi europei sara’ una chiave per la ripresa dell’Italia anche in questo settore”.

“L’Agenda Digitale europea è uno strumento di politica, di crescita e sviluppo per il cambiamento dell’Europa, destinato alla trasformazione di processi produttivi. In un momento così difficile dal punto di vista fiscale, l’Agenda Digitale è uno strumento importante per abbattere i costi”. L’Ue è impegnata a realizzare le condizioni di un mercato unico che, forte di 500 milioni di persone, sarebbe il maggiore del mondo e potrebbe contribuire alla ripresa economica “superando una frammentazione fatta di 27 o 28 paesi, che è deleteria”, dice Viola.

In questo contesto, l’Italia è indietro sul fronte delle infrastrutture a larga banda di prossima generazione. In particolare, per quanto riguarda la diffusione della larghissima banda in fibra ottica e in vdsl “l’Italia è all’ultimo posto in Europa – dice Viola, illustrando i dati dell’Ue – e questo è un dato preoccupante che fa riflettere, visto che il nostro paese è la terza economia dell’Ue. Si tratta di un gap legato alla presenza in Italia di una rete in rame e di una piccola infrastruttura in fibra. L’Italia, rispetto agli altri paesi dell’Unione, sconta la mancanza di una rete via cavo”. Anche per questo la penetrazione dell’ultra broadband in Italia è ferma al 25%, considerando pure la rete mobile, rispetto ad una media europea del 28,3%.

Per favorire la digitalizzazione bisogna sconfiggere problemi culturali, visto che il 37% degli italiani dichiara di non aver mai usato Internet e soltanto il 53% è un utente regolare. “Il problema dell’analfabetismo digitale, però è tipicamente italiano”, aggiunge Viola. Un gap culturale che va risolto in maniera rapida, anche perché il settore dell’Ict è l’unico nell’Ue che ha bisogno di competenze e offre posti di lavoro, quantificati in 190mila unità. “L’Italia deve investire in formazione – precisa Viola – perché gli skill digitali nel nostro paese sono scarsi, così come la diffusione del commercio elettronico anche fra le piccole e medie aziende”. Infine, sul fronte dell’e-gov, il 100% delle amministrazioni pubbliche italiane è in Rete, ma “l’Italia è l’ultima in Europa per interazione con i cittadini – chiude Viola -. La presenza su Internet non basta, serve l’interazione”.

Il calo del titolo Telecom Italia alla fine della scorsa settimana non è dipeso dalla decisione del Cda, assunta giovedì scorso, di andare avanti con l’operazione di scorporo della rete fissa. E’ quanto sostiene l’amministratore delegato di Telecom Italia, Marco Patuano. Patuano ha inoltre sottolineato che l’ipotesi di scorporo delle rete di Telecom Italia attira un numero di investitori potenziali più grande “di quanto si pensi comunemente”, evidenziando che il progetto “è una operazione industriale” che però richiede diverse condizioni, tra cui quella di un quadro regolamentare che dia maggiori certezze sulla redditività degli investimenti sugli anni. L’Ad ha ricordato che Telecom “è il primo operatore al mondo, di una certa dimensione, a studiare una operazione di questo tipo”.

Quanto alla Cassa depositi e prestiti “sicuramente è un potenziale investitore, ma non è l’unico – ha detto – sicuramente i potenziali investitori sono più di quanti si pensi comunemente”. Negli ultimi 20 anni gli investimenti in infrastrutture tlc in Italia hanno raggiunto quota 24 miliardi di euro. “Gli investimenti diminuiscono perché calano i ricavi – ha detto Patuano – La gente chiede prima di tutto prezzi più bassi”. Lo scorporo è un’operazione industriale, quindi servono “pre condizioni industriali e regolatorie”.

In Italia “bisogna cercare un compromesso accettabile” tra concorrenza delle imprese di Tlc e redditività: perché ormai i margini delle società sono “relativamente modesti”. Lo ha detto il presidente dell’Agcom, Angelo Marcello Cardani. Cardani ha rilevato che tra la fine del 2005 e il marzo 2013, “i prezzi dei servizi di telecomunicazione al dettaglio in Italia sono scesi tantissimo, solo in Francia sono scesi di più”, guardando ai grandi paesi europei. “In Italia, come in Europa, l’Ebitda delle aziende di Tlc mostrano che ci sono dei profitti, che tuttavia nel nostro paese sono destinati per coprire debiti, ammortamenti e svalutazioni – dice il presidente dell’Agcom -: resta poco per investire”. “Questo ci dà l’idea che un certo grado di concorrenza ci sia. La profittabilità, che in un certo senso non manca, vista la necessità di ammortamenti importanti, forse è effettivamente relativamente modesta. Bisogna cercare un compromesso accettabile”, ha detto Cardani, aggiungendo di essere favorevolissimo al concetto di rilancio della politica industriale per le comunicazioni elettroniche da parte del Governo, che può contribuire così attivamente all’eliminazione di colli di bottiglia che ritardano lo sviluppo delle nuove reti.

L’Italia è sì in ritardo nel processo di digitalizzazione, ma “nell’ultimo anno e mezzo molte cose sono state fatte nell’ambito della cabina di regia del Governo Monti e con il via libera al Decreto Crescita”. Lo ha detto Roberto Sambuco, capo dipartimento Comunicazioni del Mise. “In questo anno e mezzo abbiamo creato l’Agid, abbiamo realizzato due Hub, uno per il cittadino e l’altro per la PA – dice Sambuco – l’Agenda Digitale non deve essere un semplice punto dell’agenda di Governo, ma una materia trasversale. Cose da fare ce ne sono molte: considerato che il digital divide è un problema superato, bisogna gestire la questione del 700 Mhz, risolvere quella dei data center e del cloud computing nella PA”.

Per lo sviluppo delle Ngn, prosegue Sambuco, “serve un modello misto pubblico-privato, per spingere gli investimenti. Penso che si andrà verso la convergenza di reti fisse e mobili – dice Sambuco – il modello di liberalizzazione degli anni ’90 non è più sostenbile. Il settore mobile ha da poco investito 4 miliardi di euro per l’asta Lte e ne dovrà investire altrettanti per il 4G. Presto servirà nuova banda”. Sambuco auspica, inoltre, una semplificazione delle procedure di assegnazione dei fondi europei.

“Spiegare all’Italia che l’Agenda Digitale è un tema di politica industriale è importantissimo. L’Europa sul digitale sta facendo politica industriale sulle reti, l’Italia invece è in ritardo. Ci vorrebbe un programma straordinario per il Digitale e l’Ict nel nostro paese. Dobbiamo investire nelle nuove reti senza avere dubbi”. Lo ha detto Agostino Ragosa, direttore dell’Agenzia digitale italiana (Agid).
“Gli americani stanno lavorando sugli open data con un milione di addetti – aggiunge Ragosa -, noi in Italia abbiamo un gap in questo senso, pur avendo diverse skill di eccellenza. Stiamo lavorando per preparare un piano nazionale di formazione con le università, ma non basta. Bisogna coinvolgere anche gli istituti tecnici industriali”.

Uno dei problemi culturali da superare, secondo Ragosa, è il fatto che le infrastrutture tecnologiche non sono mai state viste come “un asset strategico nel nostro paese – ha detto il direttore dell’Agid – pur avendo investito 10 miliardi di euro nella realizzazione della rete, il tema delle infrastrutture è sempre stato sottovalutato e l’investimento in infrastrutture resta nel capitolo della spesa corrente”. L’Europa oggi “ci chiede il conto”, noi dobbiamo tornare ai livelli di 20 anni fa, “quando l’Italia era al primo posto per diffusione della fibra ottica”, aggiunge Ragosa.

Per quanto riguarda i servizi di e-gov, il problema dell’Italia, secondo Ragosa, è “l’eccessiva frammentazione – dice il direttore dell’Agid – abbiamo 4mila punti da cui eroghiamo servizi (data center della PA ndr). Ma manca un catalogo unico di tutti i servizi erogati, manca una visione unica e centralizzata della “Enterprise public structure”. Dobbiamo ridurre il numero di erogazione ad un massimo di 40 a livello periferico e 10 a livello centrale, che devono essere certificati per erogare servizi in cloud”.

“Il ritardo dell’Italia sul fronte delle infrastrutture di rete è una grande opportunità. Abbiamo l’acqua alla gola, o cominciamo a far ripartire gli investimenti o siamo avviati al declino senza fine”. Lo ha detto oggi Franco Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), aggiungendo che l’uscita dell’Italia dalla procedura di infrazione dell’Ue “ci dà dei margini soltanto se riusciremo a far ripartire il Pil”. In questo quadro, il tema degli investimenti in infrastrutture Tlc è “cruciale – aggiunge Bassanini – Si tratta di investimenti che si possono fare rapidamente e che in più sono anticiclici. Non prevedono grossi investimenti di finanza pubblica”.

L’Europa, in particolare tramite il commissario Barnier, può fare molto per contribuire allo sblocco degli investimenti. “L’Ue ha riconosciuto che bisogna creare un quadro regolamentare più favorevole agli investimenti di lungo periodo – dice Bassanini – ma si può fare di più. Sarebbe utile rivedere i tagli al budget riservati alla Europe Connecting Facility, ridotti ad un miliardo di euro”.
Il Governo italiano, dal canto suo, può dare un contributo concreto “approvando il regolamento scavi sulle mini trincee – dice Bassanini – rivedendo le disposizioni sul credito di imposta per investimenti infrastrutturali; poter avere crediti d’imposta su investimenti in Ngn sarebbe un bel risparmio. Potrebbe lanciare Project Bonds italiani, per rendere gli investimenti in Italia più attraenti”. Gli investimenti della Cdp, chiude Bassanini, hanno due vincoli: non possono essere a fondo perduto e, qualora riguardino le reti, devono garantire l’equivalence of input.

“Il piano di rete di nuova generazione di Fastweb, che raggiungerà con velocità sino a 100 megabit al secondo il 20% della popolazione entro il 2014, è in fase di realizzazione e in anticipo rispetto agli obiettivi iniziali”. Lo ha detto Alberto Calcagno, amministratore delegato Fastweb. Secondo il top manager, il piano “contribuirà a far recuperare il gap infrastrutturale dell’Italia nei confronti dell’Europa e a raggiungere gli obiettivi della digital agenda”. Per Fastweb si tratta di un progetto vivo, partito sei mesi fa in sette città. A luglio la seconda fase del progetto partirà e riguarderà altre sette città. “Fastweb è contraria all’ipotesi di una rete unica”, dice Calcagno.

“Il mercato europeo delle Tlc si sta muovendo verso il consolidamento, ma la concorrenza anche nel settore delle reti è fondamentale”. Così Stefano Parisi, presidente di Confindustria Digitale. “In Italia ci sono sette reti diverse che si fanno concorrenza – dice Parisi – sono contrario al modello che prevede reti pubbliche, la rete Tlc non è come la rete del gas. Gli Olo negli ultimi 12 anni hanno avuto un ruolo molto importante, dando una forte spinta al mercato, per l’adozione della fibra ottica. Anche sul fronte degli investimenti, nei prossimi cinque anni l’Italia non è così indietro rispetto all’Europa”.

Secondo il presidente di Confindustria Digitale, le aziende del settore Tlc attive in Italia hanno sempre investito in linea con la media Ue. “Il ritardo dell’Italia per quanto riguarda la strategia di sviluppo delle Ngn è legata all’assenza di una rete via cavo – dice Parisi – il che non è certo secondario, visto che gran parte del traffico video oggi pesa sui network mobili”. Il vero problema del gap digitale italiano, secondo Parisi, è legato a “quel 53% di penetrazione, troppo poco – dice Parisi – serve una forte spinta politica all’adozione della banda larga, un’alleanza forte fra PA – che deve procedere allo switch off della carta – banche, assicurazioni e industria. Sono ancora troppo poche le aziende consapevoli del valore della tecnologia in chiave produttiva”.

Il virus vero che aleggia sugli investimenti di rete è “l’incertezza”, dice Enrico Resmini, Direttore Residential di Vodafone Italia. “Vodafone ha sempre investito in Italia – dice Resmini – Ogni anno investiamo circa un miliardo di euro, e per il prossimo anno prevediamo investimenti di 150-200 milioni nella rete fissa”. Incertezza che secondo Resmini riguarda in primo luogo “il quadro regolatorio”.

Ma se nel mobile la concorrenza “è buona”, nel fisso il quadro è appunto più incerto.”Nel fisso oggi ci troviamo a competere con un discreto scenario di concorrenza in unbundling – dice Resmini – nel mercato in bitstream invece facciamo fatica a garantire servizi adeguati. Ma i nostri investimenti continuano, attualmente stiamo cambiando apparati e modem nelle case degli italiani”.

Per quanto riguarda le Ngn, “Vodafone ha investito con Metroweb a Milano – continua il manager – stiamo testando il Fiber to the cabinet e siamo in attesa di partire con il Vula”. Un altro problema che aleggia sugli investimenti, secondo Resmini, è rappresentato dagli Ott: “Gli Over the top stimolano la domanda però si muovono in quadro di regole diverso da quello degli operatori Tlc – dice il manager di Vodafone Italia – La relazione parassitaria degli Ott nei confronti degli operatori di rete non fa bene al sistema”.

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