Per una sanità digitale capace di migliorare la cura e la vita del paziente occorrono un maggiore sforzo di digitalizzazione e integrazione dei dati e una stretta collaborazione tra tutti gli attori sotto il coordinamento del ministero della Salute. Questa regia unica sarebbe in grado di dare coerenza e efficacia all’impianto organizzativo della digital health italiana, che non significa solo telemedicina, ma governance dei dati sanitari, applicazione dell’intelligenza artificiale e di nuovi modelli di servizio. È quanto emerso dal convegno “Digital health by design – dati e Ia” tenutosi al ministero della Salute, patrocinato da Asl Rm2 con Rome Technopole e organizzato da Culture con il Parlamento europeo e la Commissione europea.
Senza il coordinamento, il rischio che si corre è di aumentare il livello di complessità del sistema, ma senza arrivare ai risultati. Non si tratta quindi solo di aumentare le prestazioni in telemedicina, ma di capire a quali bisogni si è risposto, gli esiti dell’intervento e quanti pazienti sono stati effettivamente presi in carico in modo semplice ed efficace.
Ai e analisi dei dati nell’e-health: la governance
“La digitalizzazione e l’intelligenza artificiale”, ha dichiarato il ministro della Salute, Orazio Schillaci, nel messaggio letto in apertura dell’evento, “rivestono un ruolo fondamentale anche nel sistema di raccolta e analisi dei dati, strategici per una programmazione sanitaria efficace, la promozione della ricerca e la prevenzione delle malattie. In questo contesto, è essenziale collaborare tra istituzioni per definire nuovi modelli di servizio e stabilire linee guida chiare nell’utilizzo dei dati sanitari e nella progettazione di algoritmi di intelligenza artificiale”.
“Il Servizio sanitario nazionale, così come è organizzato oggi, appare formato da diverse isole, spesso non in coordinamento fra loro, dove il paziente può risultare spaesato. Il Pnrr, e il Dm 77 in particolare, offrono opportunità nuove, soprattutto grazie all’introduzione della sanità digitale e dell’Ia, ma il rischio è che si introducano solo nuovi strumenti nell’attuale modo di funzionare del sistema, senza una visione complessiva necessaria”, è la considerazione espressa da Giorgio Casati, Df di Asl Rm2, da cui è partita la discussione durante il summit.
“Una giornata di confronto costruttivo sulla digitalizzazione dei dati sanitari e lo sviluppo di algoritmi di intelligenza artificiale”, commenta Felicia Pelagalli, direttore di Culture. “Come sappiamo, la popolazione italiana sta invecchiando sempre più con un conseguente incremento delle multicronicità e dello stato di fragilità. Si allunga il tempo della vita, e questa è una buona notizia, ma, purtroppo, rischia di durare di più anche il tempo della malattia. Nella fascia di età sopra i 75 anni solo il 28,6% risulta in buona salute (dati Istat). Dobbiamo allungare la speranza di vita sana”.
Le sfide dello spazio europeo dei dati sanitari
Lo European health data space (Ehds) è il primo spazio europeo dei dati sanitari. “L’accesso ai dati sanitari è di fondamentale importanza per garantire l’innovazione nei sistemi sanitari europei”, sottolinea Marco Marsella, direttore del settore Digitale, EU4Health della direzione generale Salute della Commissione Europea. “È fondamentale, perché attraverso l’accesso si possono costruire nuove tecnologie ma anche avviare dei workflow per il trattamento, per esempio dei pazienti con malattie croniche, oppure, per il miglioramento della diagnosi, è possibile introdurre elementi di intelligenza artificiale nello screening e soprattutto adattare i trattamenti alle necessità dei pazienti, verso la medicina personalizzata”.
“Se guardiamo alle attuali barriere che si frappongono oggi alla realizzazione dell’Ehds possiamo individuare altrettante sfide per il settore della ricerca, formazione ed innovazione”, sostiene Alessandra Petrucci, Rettrice dell’Università degli Studi di Firenze. “Tra queste, la privacy nella raccolta e condivisione dei dati sanitari; la sicurezza informatica; barriere normative; diversità dei Sistemi sanitari; l’interoperabilità dei sistemi informatici. L‘Ehds ha il potenziale per rivoluzionare la ricerca sanitaria in Europa, fornendo ai ricercatori strumenti e risorse preziose per esplorare nuove frontiere nella comprensione e nel trattamento delle malattie, migliorando così la salute e il benessere della popolazione”.
La presa in carico precoce del paziente cronico deve diventare la priorità – anche e soprattutto in un futuro digitalizzato – se si vogliono trovare le soluzioni in grado di frenare il processo degenerativo della patologia e la necessità di ricorrere poi a prestazioni complesse e costose. Altro tema centrale è l’aderenza alle cure e ai controlli poiché, come emerge da tutti gli studi condotti a livello nazionale, la percentuale di pazienti cronici che seguono i percorsi terapeutici è comunque basso ed oscilla fra il 30 e il 50% del totale, a seconda della patologia. Non aderire ai controlli vuol dire perdere l’occasione di arrestare il processo degenerativo e alimentare impropriamente gli accessi in pronto soccorso o in ospedale.
Il confronto tra player e la regia del governo
“Dopo questo appuntamento”, hanno suggerito Giorgio Casati, direttore generale della Asl Roma 2, e Felicia Pelagalli, direttore Culture, “sarebbe necessario e opportuno aprire ulteriori occasioni di confronto, o tavoli di lavoro: sulla governance dei dati sanitari e lo sviluppo dell’Ia e sui nuovi modelli digitali di servizio sanitario. La telemedicina non può essere intesa soltanto come una modalità diversa di lavoro, ma uno strumento per entrare in relazione con il paziente in maniera differente, più vicina”.
La presa in carico digitale del paziente presuppone un’attività di regolamentazione nuova, che contempli, per esempio, la partecipazione dei medici di medicina generale insieme agli specialisti, non tralasciando l’aspetto sindacale necessario a ridefinire i ruoli e i rapporti tra operatori.
Prende forma la piattaforma nazionale di telemedicina
A proposito della piattaforma nazionale di telemedicina, Domenico Mantoan, direttore generale Agenas, rammenta che “quello che stiamo facendo è un investimento superiore, un sistema che a livello centrale permette di usare i dati sanitari, non solo per la cura, ma anche per la programmazione”. “L’investimento sta continuando – aggiunge Mantoan; il nostro è stato un lavoro in collaborazione con l’Anac che ci ha dato un supporto straordinario”.
Inoltre, come ribadito da Alice Borghini, dirigente dell’Organizzazione dei modelli sanitari territoriali dell’Agenas, il 2024 sarà l’anno della messa a punto della piattaforma nazionale di telemedicina. “Nel corso dell’anno ci sarà una integrazione delle piattaforme regionali e si costituirà l’infrastruttura nazionale di telemedicina. Sarà il primo step per far sì che il sistema sia funzionale. Il 2024 sarà l’anno in cui tutti gli investimenti saranno messi insieme e inizieranno a parlarsi”.
La privacy e la qualità dei dati
La pandemia è stato “uno stress test senza uguali che l’Europa ha superato a pieni voti”, secondo Guido Scorza, componente del Collegio dell’Autorità garante protezione dati personali. “È stato possibile introdurre il Green pass in 15 giorni grazie al Gdpr, il Regolamento generale europeo per la protezione dei dati personali nonché per la loro libera circolazione. Nessuno dei nuovi provvedimenti ha derogato dal Regolamento. Non per un senso di rispetto verso la privacy ma perché non c’è bisogno che ci sia”. Per il giurista, in particolare, “la competenza interdisciplinare è fondamentale nei progetti che mettono insieme salute e innovazione. Il mondo è cambiato e credo che potrebbe saltare nei prossimi cinque anni la stessa linea di confine fra il dato comune e il dato particolare. Le regole le dobbiamo rivedere, ragioniamoci insieme”.
Altro tema importante è la qualità dei dati, che non dovrebbero limitarsi all’età o al luogo di residenza ma estesi, per esempio, al titolo di studio, tipo di lavoro e condizione economica. I dati del censimento potrebbero essere utilmente collegati a quelli sanitari per avere l’opportunità di identificare dei profili di persone con determinate caratteristiche di vita su cui è opportuno concentrare l’attenzione e l’azione della prevenzione dell’azienda sanitaria. Tutto questo, ovviamente, può essere trattato anche attraverso sistemi di intelligenza artificiale che aiutino a leggere e interpretare un volume importante e spesso eccessivo di informazioni e di dati.
Ai tra etica e investimenti
Sul tema dell’utilizzo dei dati personali e sanitari è intervenuto mons. Vincenzo Paglia, presidente della pontificia Accademia per la Vita. “Dobbiamo – invita – restare noi coloro che guidano la macchina. La tecnologia, come l’intelligenza artificiale, è da abbracciare con entusiasmo tenendo presente però le coordinate” perché, specie nel campo medico, “non possiamo affidare alla macchina la gestione della salute di una persona”.
Sul livello di digitalizzazione in Italia si è espresso in maniera positiva Paolo Colli Franzone, presidente dell’Istituto per il Management innovazione in sanità Imis. “Spendiamo poco in tecnologie informatiche sanitarie rispetto ad altri Paesi ma tutto sommato ne abbiamo tante nelle strutture sanitarie. Anche l’intelligenza artificiale è diffusa come per esempio nella radiologia per immagini”. Fra le criticità, Colli Franzone nota come i medici vorrebbero essere maggiormente coinvolti nel processo di innovazione.
Il ruolo delle Asl per l’innovazione nella sanità
A livello locale, le aziende sanitarie si stanno già muovendo con esperienze sul campo per agevolare la lettura dei dati e individuare così gli eventuali alert. “Nella Asl Roma 2- evidenzia Casati – abbiamo creato una prima banca dati degli assistiti. Stiamo per sottoscrivere un accordo con il Campidoglio per valutare la possibilità, nel rispetto della normativa sulla privacy, di poter mettere insieme i dati della Asl e del Comune sulla popolazione, per fare analisi più approfondite. Abbiamo già realizzato un modello di telemedicina presso l’Ospedale di Rebibbia e un modello di Ospedale virtuale, riconosciuto e premiato anche da Agenas”.
Ma soprattutto, va rafforzato sin dall’inizio del progetto il dialogo tra ente centrale, Regioni e aziende sanitarie locali per far sì che non accada quanto riferisce Paolo Petralia, direttore generale Asl4 Liguria e vicepresidente vicario di Fiaso, “Io sono medico. E come qualunque altro professionista di una scienza empirica è normale che si impari da chi ci ha preceduto e si trasferisca quello che si sta facendo a quelli che seguiranno, è una cosa scontata. Nel nostro agire quotidiano in sanità, però, questo rischia di non esser sempre vero. Perché noi facciamo le cose e poi non riusciamo a dare continuità di valore: perché nella governance multilivello in cui il nostro Paese avvolge le dimensioni centrali, nazionali, regionali, locali della sanità, spesso ci si perde. E avviene che le aziende sanitarie vengano anche premiate dallo stesso soggetto regolatore come esperienze innovative, avanzate, sperimentazioni utili al sistema e poi, però, non vengano chiamate, per caso, al tavolo dove quelle cose vengono decise”.