Viola: “I fondi Ue cruciali per vincere la partita dell’Ict”

Il vice direttore della DG Connect della Commissione Ue: “Nella giusta direzione il piano banda larga del Mise. Prossimo step l’introduzione delle condizioni ex ante nella gestione delle risorse”

Pubblicato il 17 Giu 2013

«In una situazione come quella della finanza pubblica italiana, i fondi strutturali europei risulteranno fondamentali per vincere la partita dell’Ict”. Purché si mettano in pista sufficienti “capacità gestionali e determinazione a tutti i livelli istituzionali». Ne è convinto Roberto Viola, vice-direttore della DG Connect della Commissione Europea. Nel corso del suo recente tour in Italia per partecipare il 3 e 4 giugno scorsi alla terza edizione del “Going local”, l’ex segretario generale di Agcom ha molto insistito sui ritardi del paese nell’attuazione dell’Agenda Digitale europea. Tornando sull’argomento in un colloquio accordato al Corriere delle Comunicazioni, Viola ragiona sui motivi storici e strutturali di questo gap, auspica che i piani d’investimento annunciati dagli operatori “non restino solo sulla carta”, e allargando lo sguardo all’Europa spiega dove occorre intervenire per rilanciare la competitività internazionale del suo settore telecom.

Partiamo proprio dal “Going local Italia”. Quali impressioni e umori ha potuto raccogliere partecipando alla due giorni di workshop?

Il bilancio dell’iniziativa è certamente molto positivo. Se dovessimo misurare le opportunità di sviluppo dell’Ict italiano dalla presenza e dal grado d’interazione di cui ha testimoniato questa edizione del “Going local” saremmo in sella. Il punto di partenza dei diversi dibattiti, com’è noto, è stato la presentazione dei dati della Commissione sulla realizzazione degli obiettivi dell’Agenda Digitale in Italia. Si tratta di numeri poco lusinghieri, che non mi stancherò di ripetere, e che rappresentano un monito ed al contempo uno stimolo ad agire. A parte la presa di coscienza collettiva di questo quadro tutt’altro che positivo, credo che dall’evento sia emersa una rinnovata volontà ad andare oltre la retorica del digitale per passare ad un’agenda concreta di azioni realizzabili.

Fermi i dati, quali sono le cause principali del ritardo italiano?

La posizione di retroguardia dell’Italia sull’Ict, dissonante rispetto alle dimensioni e all’importanza della sua economia, è innanzitutto il prodotto di un ampio deficit infrastrutturale. Sembra banale ricordarlo, ma l’assenza del cavo ci penalizza fortemente se solo si pensa al contributo che potrebbe dare alla creazione di economie di scala e di scopo nel campo delle reti Nga. Il secondo aspetto critico interessa la stessa struttura del mercato italiano. Che se appare dinamico sul fronte delle offerte e dei prezzi, lo è molto di meno su quello degli investimenti in infrastrutture. Ultimamente, gli operatori hanno annunciato alcuni piani d’investimento. Spero non restino solo sulla carta.

Un altro tema sul quale di recente ha molto insistito è quello dell’alfabetismo digitale…

In questo caso le cause sono di due ordini differenti. Il dato italiano sull’alfabetismo digitale, tra i più bassi d’Europa, è sicuramente legato alla composizione anagrafica della popolazione, in genere più anziana della media comunitaria. Un altro fattore significativo riguarda però la stessa fruizione dei media, che nel nostro paese resta fortemente ancorata ai mezzi di comunicazione tradizionali, soprattutto la televisione. In questo senso, il mio suggerimento è di usare proprio la televisione come luogo di discussione e promozione dell’alfabetizzazione informatica.

Un’ultima chiosa sulla PA. Tutte le amministrazioni pubbliche italiane sono virtualmente online, ma quale valutazione viene data della qualità dei servizi offerti?

Il fatto che in ragione di varie direttive e regolamenti la totalità delle PA italiane sia presente sul web, non significa che questo abbia effettivamente portato un’offerta diversa di servizi al cittadino. Molto spesso ha semplicemente prodotto una duplicazione dei canali d’accesso alle amministrazioni replicando lo stesso approccio un po’ burocratico e distante. Se il cittadino prima era afflitto dalla burocrazia analogica, chiamiamola così, rischia oggi d’incappare nella burocrazia digitale. Deve quindi essere chiaro che i processi cartacei non possono essere coniati nel mondo digitale. Bisogna ripensarli, razionalizzando la presenza della PA sul web per comprimere le spese.

Tiriamo le somme, in Italia c’è una concreta volontà a chiudere il “gap digitale” con il resto d’Europa?

La volontà è forte sia a livello centrale, sia tra gli enti locali. Gli operatori, inoltre, sembrano intenzionati a fare la loro parte. E lo stesso vale per l’Europa: si pensi all’utilizzo dei fondi strutturali, che in una situazione come quella della finanza pubblica italiana risultano fondamentali per vincere la partita dell’Ict. A questo proposito il piano nazionale banda larga del Mise, con il coordinamento delle regioni, rappresenta un passo nella giusta direzione, ma servono capacità gestionali e determinazione a tutti i livelli per riuscire a mettere in pista questi progetti infrastrutturali. Un’altra azione che potrebbe agevolare l’assorbimento dei fondi strutturali è l’introduzione di voucher per l’acquisto da parte delle Pmi di servizi d’Ict avanzati.

La prossima programmazione dei fondi strutturali potrebbe acquisire un ruolo ancor più decisivo per l’Ict.

Sicuramente e per una serie di ragioni. La prima è che l’Ict sarà probabilmente una delle priorità per quanto riguarda la parte dei fondi destinati a ricerca e infrastrutture. Il che significa che ci sarà l’obbligo per gli stati che utilizzano i fondi strutturali di destinarne una parte proprio all’Ict. L’altro tassello importantissimo è l’introduzione delle cosiddette condizioni ex ante nella gestione dei fondi, cioè specializzandone l’utilizzo per area geografica e dunque in maniera intelligente.

Torniamo per un attimo all’Agenda Digitale con un respiro questa volta più ampio. A che punto sta l’Europa?

Il quadro della situazione è che per quanto riguarda gli obiettivi della “larga banda per tutti” siamo prossimi al traguardo, mentre sulla copertura dei 30Mbps a tutti i cittadini europei entro il 2020 si registrano progressi incoraggianti. L’obiettivo dove siamo messi molto male è la copertura dei 100mbps al 50% della popolazione entro il 2020. Ciò è dovuto alla scarsa propensione agli investimenti, che non è solo un problema italiano bensì un male che serpeggia per tutta l’Europa. In questo caso scontiamo un deficit ancor più forte che in altri settori, soprattutto se si guarda al differenziale in termini d’investimenti tra l’Europa e gli Stati Uniti o l’Asia. Se questa è l’analisi, la conseguenza dovrebbe essere quella di una politica regolamentare a livello europeo che supporta e promuove gli investimenti attraverso la stabilità delle regole.

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