LA RICERCA

Start up, in Italia 300mila aspiranti imprenditori

Secondo una ricerca dell’associazione Italia StartUp un giovane su quattro è attratto dal settore dell’Ict e della new economy. Il modello? Steve Jobs e Mark Zuckerberg

Pubblicato il 17 Giu 2013

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La crisi del lavoro, la necessità di reinventarsi e il fermento che si sta registrando nel mondo delle startup stanno generando un potenziale latente di imprenditoria che ancora non riesce a svilupparsi e che – secondo l’associazione Italia Startup – ammonta a 300mila unità. Il dato emerge dalla prima ricerca condotta dall’associazione Italia Startup, in collaborazione con Human Highway.

“Si tratta di dimensioni notevoli – sottolinea Federico Barilli, segretario generale di Italia Startup – Il 21,9% intende avviare la propria attività nel settore ristorazione, mentre le tecnologie digitali catturano l’interesse del 13,7% degli intervistati: in particolare il 7,4% intende investire in servizi web come e-commerce, comunicazione digitale e piattaforme di co-working, mentre il 6,3% punta alla progettazione software e allo sviluppo di app: è un segno evidente delle potenzialità offerte dalle tecnologie digitali nella creazione di opportunità lavorative”.

Per individuare gli aspiranti imprenditori, Italia Startup ha chiesto a un campione di 947 persone, rappresentativo della popolazione italiana, come intenderebbero investire un’inaspettata eredità di 200.000€ da un fantomatico zio d’America. Le tre risposte che hanno ottenuto più consensi sono figlie della crisi economica: il 30,9% desidera avere la certezza della casa comprandone una; il 23,2% intende pagare i debiti oppure il mutuo mentre il 20,9% sceglie la temporanea fuga di un viaggio o di una vacanza da sogno.

Ma al quarto posto, con il 18,8%, degli intervistati si posizionano coloro che desiderano supportare un’iniziativa imprenditoriale: il 16,5% degli intervistati vorrebbero utilizzare i soldi per un proprio progetto imprenditoriale, mentre il 2,3% li impiegherebbe in un’impresa di amici e conoscenti.
All’interno di questo 18,8%, però, il 32,4% sarebbe disposto a investire meno della metà o una parte limitata dei 200.000€, mentre il 67,6% è disposto a rischiare una parte consistente del patrimonio: sono quei 3,5 milioni di italiani (12,2% degli intervistati) che rivelano una maggiore propensione all’imprenditorialità. Per verificare la maturità di questa propensione, l’indagine ha poi analizzato la presenza di un’idea imprenditoriale negli intervistati e solo il 40,9% ha rivelato di avere un progetto abbastanza preciso (30,2%), ben definito (9,2%) o già avviato (1,5%).
Infine come ulteriore controprova dell’aspirazione all’imprenditorialità, è stata riscontrata la propensione a investire il proprio finanziamento in un settore specifico. L’82,6% ha rivelato di avere già identificato il settore: corrisponde all’1,1% degli intervistati, pari a circa 300.000 italiani.

Il principale modello di riferimento per il 31% di questi aspiranti imprenditori è il self-made-man all’italiana (da Ferrari a Briatore, da Berlusconi a Delvecchio), che attrae preferenze soprattutto nel Nord Italia (55%) e tra coloro che investono nel settore commerciale (27%). Per il 29% il modello è invece costituito dalle grandi famiglie imprenditoriali italiane (Agnelli, Barilla, Ferrero) che raccolgono preferenze soprattutto al Sud e nelle Isole e tra coloro più propensi a investire nella ristorazione (21,3%) o nel turismo (21,4%).

Un giovane imprenditore su quattro è attratto invece dall’imprenditore dell’informatica e della new economy: tra i nomi più citati ci sono ovviamente Bill Gates, Steve Jobs o Mark Zuckerberg. Il 70,9% di questi aspiranti imprenditori sono uomini e il 49,4% ha un’età tra i 24 e i 35 anni, risiedono in gran parte nel Nord (52,6%) e se avessero a disposizione 200mila euro li investirebbero nel 29% dei casi nel settore dei Software/Servizi Web (tre volte il dato complessivo).
Infine il 18% ammira i manager-imprenditori alla Marchionne o De Benedetti. Sono in genere aspiranti imprenditori tra i 35 e i 44 anni (33,7%) che intendono puntare ai settori Manifatturiero (34,1%) o Commerciale (29%).

Non è un caso che proprio l’ipotesi di ricevere una donazione di 200.000 euro abbia scatenato il desiderio imprenditoriale degli italiani: tra i principali inibitori della libera iniziativa c’è proprio la scarsità di risorse finanziarie per dare corpo al proprio progetto. Per 8 aspiranti imprenditori su 10 questo è il principale ostacolo. Al secondo posto tra i fattori inibitori, nettamente distaccato dal primo, si classifica la difficile congiuntura economica, che blocca il 20,6% degli intervistati. Il mancato reperimento di amici o colleghi disposti a rischiare nel progetto ferma invece l’11,1% degli aspiranti imprenditori.
È interessante notare come tra coloro che mostrano propensione all’imprenditorialità ma non intendono rischiare la maggior parte dei 200.000, è meno diffusa la percezione della mancanza di soldi, che si attesta al 67,2% e trova più spazio la sfiducia generata dalla difficile congiuntura economica (30,4%).

“Sembra un paradosso, ma la crisi genera una delle risorse più importanti per l’economia italiana: il desiderio di imprenditorialità, di esprimere i propri talenti per creare nuove opportunità lavorative – evidenzia Barilli – Solo per 2 aspiranti imprenditori su 10 il momento economico sfavorevole è un limite; per la maggior parte di loro, basterebbe trovare un adeguato finanziamento per creare una nuova realtà produttiva. Questa indagine diventa dunque un forte richiamo per le aziende consolidate, i settori maturi, soprattutto del Made in Italy, a investire nelle startup: è invito a contaminarsi con i nuovi modelli di business offerti dalle tecnologie digitali, un vero e proprio asset competitivo per il nostro Paese, capace di attrarre l’iniziativa imprenditoriale dei più giovani”.

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