Si parla molto in questi giorni di Memoto, un minuscolo apparecchio fotografico che si attacca, come una spilla, al bavero della giacca, e scatta una fotografia ogni 30 secondi per due giorni consecutivi. Chi lo usa può conservare dunque, in formato digitale, la memoria completa di ciò che ha vissuto nelle ultime quarantotto ore. Precisa e completa documentazione della nostra giornata o esagerata intrusione della tecnologia nel privato?
Discussione aperta, ma al di là di questo sguardo fin troppo pervasivo dell’obiettivo fotografico nella nostra vita, si può senz’altro provare a valutare quanto, in termini di effetti sulla mente umana, sia cambiato dopo la scoperta e l’applicazione della tecnologia digitale alla fotografia. Il passaggio dalla fotografia analogica a quella digitale può ricordare, in piccolo, quello che molti secoli fa avvenne quando si passò dalla cosiddetta prima età della comunicazione, legata alla oralità, alla seconda età della comunicazione, legata alla scrittura. Tale passaggio, che non fu una consegna definitiva di testimone visto che l’oralità ha continuato ad essere presente tra i meccanismi di comunicazione, trovò in Platone un critico ostinato; il grande filosofo infatti affermava che la scrittura consente di fissare i ricordi liberandoli dalla nostra memoria e quindi priva la mente umana della necessità di ricordare.
In effetti la vera rivoluzione non è nata quando la fotografia digitale ha sostituito quella analogica, e neanche con la progressiva espansione delle fotocamere digitali, bensì con l’inserimento dell’obiettivo fotografico sui telefoni cellulari. Se era (è) difficile che qualcuno portasse con sé, quotidianamente, dappertutto, una macchina fotografica, è invece ormai prassi consolidata che ciascuno di noi abbia in tasca o in borsa un telefono cellulare di nuova o nuovissima generazione, dotato, quindi, di una fotocamera digitale incorporata. Avere sempre a disposizione un obiettivo fotografico, grazie al quale possiamo riprendere le immagini che ci passano davanti, costruire scene da memorizzare, fermare i volti delle persone che si trovano in nostra presenza, è un’opportunità che oggi è concessa a tutti e che ci fa usare, per non dire abusare, a dismisura l’obiettivo fotografico.
Il risultato di questa vera e propria rivoluzione consiste in una serie praticamente infinita di immagini, oltre a quelle che scattiamo in prima persona, ci sono infatti le fotografie che gli amici ci inviano, che pubblicano sui social network, taggandoci generosamente; immagini destinate spesso a restare nelle sempre più capienti schede di memoria, oppure ad essere ‘pubblicate’ sui social network o comunque in rete, ad occupare intere memorie di massa dei nostri computer. Rispetto a pochi anni fa, sembra sia trascorsa un’era ma non è così, il cambiamento è epocale: prima, con la fotografia analogica, i momenti in cui si fermavano le immagini ed il tempo erano circoscritti; a meno che qualcuno non fosse un appassionato di fotografia sempre pronto ad uscir di casa con la reflex a tracolla, le fotografie immortalavano una gita, un incontro tra amici, un compleanno, una vacanza al mare. Venivano stampate e conservate, in numero limitato, ma su supporto cartaceo. E tutti noi abbiamo provato chissà quante volte il rimpianto per non aver scattato una foto che ci consentisse di ricordare un giorno speciale, una persona speciale; la lista degli amici, delle amiche, dei fidanzatini e delle fidanzatine di cui non conserviamo neppure un’immagine è lunga, come il ricordo fotografico inesistente di una gita fuori porta, di una visita veloce in una città, di un inatteso contrattempo, magari del giorno in cui si è preso il diploma o di quello in cui si è organizzato uno scherzo memorabile ad un amico.
Di tutti questi momenti resta solo il ricordo impresso nella nostra memoria, magari sfocato, idealizzato, migliore o peggiore della realtà a seconda della sensazione che ci ha lasciato dentro. E talvolta è sufficiente una qualunque ‘madeleine’ di proustiana memoria per consentire al ricordo di tornare, fresco e preciso, ad occupare la mente. Oggi ciò non è più possibile perché tutti i momenti che si ritengono degni di ricordo, e anche quelli che sono da considerare oggettivamente meno degni di ricordo, vengono immortalati con una facilità estrema. Resta da chiedere quanto questa tendenza ormai consolidata di fissare tutto ciò che accade intorno a noi, i volti di tutte le persone che secondo noi rivestono una certa importanza nella nostra vita, i momenti che ci appaiono indimenticabili, resta da chiedersi quanto questo modo di fermare a dismisura il tempo possa contribuire a liberare la memoria dai ricordi per utilizzarla ad altri fini, e quanto invece non sforzarsi di ricordare qualcosa del nostro passato, delegando tale aspetto a manciate di megabyte, possa creare un cortocircuito nella nostra mente disabituandola a produrre uno sforzo per fissare immagini del passato e rendendola quindi meno consistente rispetto a quella delle generazioni che ci hanno preceduto.
Ecco dunque che, per concludere, possiamo ridare voce alle idee di Platone: conservare i propri ricordi dentro di sé, almeno in parte, o delegarli, per la maggioranza, ai supporti digitali? Questa nuova abitudine di fissare su supporti digitali migliaia di istantanee della nostra vita trasformerà la nostra memoria costringendola ad avere minor necessità di ricordare il passato?