IL REPORT

L’impatto dell’AI sul business: scatta l’alert sul finto Roi negativo



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Secondo un’indagine commissionata a Sapio Research da Hpe sono ancora poche le organizzazioni in grado di gestire tutte le fasi chiave e così aumenta la probabilità che il modello fornisca informazioni imprecise. E da un report di Salesforce emerge che un migliore accesso ai dati provenienti da altri team migliorerebbe il supporto ai clienti

Pubblicato il 27 mag 2024

Enzo Lima

giornalista



intelligenza artificiale

Sebbene le aziende siano consapevoli che per ottenere prestazioni di intelligenza artificiale che abbiano un impatto sui risultati di business sia necessario disporre da dati di qualità, i livelli di maturità dei dati rimangono bassi. Appena il 7% delle organizzazioni è in grado di eseguire push/pull di dati in tempo reale per consentire l’innovazione e la monetizzazione dei dati esterni e solo il 26% ha predisposto modelli di governance dei dati e può eseguire analisi avanzate. È quanto emerge dal report “Architect an AI Advantage”, commissionato a Sapio Research da Hpe, frutto di un’indagine che ha coinvolto oltre 2.000 responsabili IT di 14 Paesi.

“Desta preoccupazione il fatto che meno di 6 intervistati su 10 ha dichiarato che la loro organizzazione sia in grado di gestire tutte le fasi chiave della preparazione dei dati per l’utilizzo nei modelli di AI: dall’accesso (59%) all’archiviazione (57%), fino all’elaborazione (55%) e al recupero (51%) – si legge nel report -. Questa discrepanza non solo rischia di rallentare il processo di creazione del modello di AI, ma aumenta anche la probabilità che il modello fornisca informazioni imprecise e un Roi (ritorno di investimenti) negativo”.

Medaglia a doppia faccia

Se è vero dunque che l’adozione dell’AI stia accelerando, con quasi tutti i leader IT che prevedono di aumentare la spesa nei prossimi 12 mesi i risultati del report “evidenziano problemi molto seri”, evidenzia Sylvia Hooks, Vp di Hpe Aruba Networking. “Se non si segue un approccio più olistico, potrebbero rallentare i progressi. Il disallineamento sulla strategia e sul coinvolgimento dei reparti, ad esempio, può impedire alle organizzazioni di sfruttare le aree critiche di competenza, di prendere decisioni efficaci ed efficienti e di garantire che una roadmap olistica sull’AI porti benefici a tutte le aree aziendali in modo congruente”.

Disallineamento fra processi e metriche

Dallo studio emergono inoltre lacune significative a livello di strategie, come la mancanza di allineamento tra i processi e le metriche, “con conseguente frammentazione dell’approccio, che aggraverà ulteriormente i problemi in fase esecutiva”. Il 28% dei leader IT descrive l’approccio complessivo all’AI della propria organizzazione come “frammentato”. Il 35% delle organizzazioni ha scelto di creare strategie di AI separate per le singole funzioni e il 32% sta definendo obiettivi diversi.

Trascurate etica e compliance: a rischio i dati aziendali

“Ancora più rischioso è il fatto che l’etica e la compliance vengano completamente trascurate, nonostante la crescente attenzione in questi ambiti da parte dei consumatori e degli enti normativi”, evidenziano gli analisti. Dal report emerge infatti che le questioni legali e di compliance (13%) e l’etica (11%) sono considerate dai leader IT le meno critiche per il successo dell’AI. E il 22% delle organizzazioni non coinvolge i team legali per l’elaborazione della strategia AI. “Senza un’adeguata etica e compliance in questo ambito, le imprese corrono il rischio di esporre i propri dati proprietari, una base fondamentale per mantenere il proprio vantaggio competitivo e la propria reputazione. E le aziende che hanno una carenza nelle policy etiche relativamente all’AI rischiano di sviluppare modelli privi di adeguati standard di compliance, con conseguenti impatti negativi sul brand, perdite nelle vendite o costose multe e battaglie legali”.

Il nodo delle infrastrutture e l’impatto energetico

Dall’indagine emerge che la metà dei responsabili IT ha ammesso di non avere una comprensione completa delle esigenze dell’infrastruttura IT nel ciclo di vita dell’AI, con conseguente aumento del rischio complessivo di sviluppare modelli inefficaci, compreso l’impatto delle “allucinazioni”. E ancora: poiché la richiesta di energia per l’esecuzione dei modelli di AI è estremamente elevata, ciò può contribuire a un inutile aumento delle emissioni di carbonio nei data center. “Queste problematiche riducono il ritorno sugli investimenti fatti e possono avere un ulteriore impatto negativo sul brand”.

“L’AI è il workload a più alta intensità di dati e di consumo energetico del nostro tempo e, per sostenere le sfide poste dalla GenAI, le soluzioni devono essere progettate in modo ibrido e costruite con una moderna architettura AI-native”, evidenzia Eng Lim Goh, Svp Data & AI di Hpe. “Dal training e tuning dei modelli on-premises, in colocation o nel cloud pubblico, all’inferenza sul edge, la GenAI ha il potenziale per trasformare i dati in insight da ogni dispositivo in rete”.

L’accesso ai dati per migliorare la custumer care

Secondo quanto emerge dall’indagine annuale State of Service di Salesforce le aziende italiane stanno intensificando gli sforzi per integrare i loro dati al fine di alimentare i sistemi di intelligenza artificiale. Il 91% afferma che un migliore accesso ai dati provenienti da altri team migliorerebbe il supporto. E il 75% dichiara di stare aumentando gli investimenti nell’integrazione dei dati per la fine dell’anno.

“Qualità dei dati e intelligenza artificiale sono elementi chiave per rendere più proattivi e  produttivi i team di assistenza”, sottolinea Domenico Rossi, Head of Service Cloud & Field Service per il mercato italiano. “I sistemi di self-help consentono già di risolvere più casi di assistenza in autonomia, liberando gli agenti del customer care di tempo ed energie da dedicare a mansioni più stimolanti e profittevoli anche in termini di fatturato. Ciò significa un cambio di passo fondamentale nel loro ruolo all’interno dell’azienda e per i clienti un servizio più personalizzato”.

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