Una città intelligente è una comunità urbana che utilizza innovazione, tecnologie, creatività, cultura e comunità per garantire sviluppo economico, qualità della vita e attrattività di persone e risorse con benefici positivi per cittadini e imprese e di conseguenza per tutto il territorio circostante». Complice una perdurante lacuna definitoria abbiamo provato, riflettendo all’interno di una realtà come Confartigianato che rappresenta oltre 700mila imprese di micro e piccole dimensioni, a definire una smart city partendo dal sostantivo prima che dall’aggettivo.
Il dibattito sulle città intelligenti è stato ad oggi infatti sostanzialmente technology driven, con la tecnologia panacea per governare le città in un’epoca di scarse risorse, limitata autonomia dei governi locali e poca fantasia nelle politiche pubbliche. Discussione affascinante, ma astratta e monca per mancanza di una visione strategica, l’eccessiva attenzione alle soluzioni tecnologiche rispetto ai bisogni da soddisfare, l’esclusività del rapporto tra amministrazioni e grandi vendor tecnologici rispetto al coinvolgimento degli stakeholder urbani, la scarsa attenzione alle dinamiche sociali esistenti nel progettare nuove soluzioni.
C’è un vastissimo catalogo di soluzioni tecnologiche valide, interessanti, possibili e spesso già applicate da qualche città nel mondo, non di rado progettata ad hoc come città ideale magari nel mezzo del deserto. Calare questo dibattito in Europa, in città a volte con una storia millenaria non è semplicemente un esercizio di traduzione e di adattamento di codici.
La tecnologia deve inserirsi in quel tanto che già c’è, contribuendo a correggere le storture di uno sviluppo spesso erratico ma comunque evidente nelle pliche del corpo urbano.
Ecco che allora, prima ancora di investire risorse, peraltro scarse, nell’innovazione dei sistemi urbani, si dovrebbe riflettere sugli obiettivi che si vogliono raggiungere, sulle vocazioni strategiche delle città (ognuna diversa dalle altre) e sulle priorità di intervento. In questo contesto, la tecnologia è il fondamentale enabler, e anche qualcosa di più, di processi di trasformazione, a patto di sapere dove si vuole andare, perché “Non c’è vento a favore, se non si conosce il porto” (Seneca).
Riflettere sul modello di sviluppo delle città prima che sulla loro “informatizzazione”, significa chiamare in causa altri stakeholders rispetto a quelli oggi impegnati, in primis i cittadini e il sistema delle imprese, in particolare quel reticolo di micro, piccole e medie imprese, artigiane, commerciali e dei servizi, che non solo usa lo spazio urbano, ma vi dà forma sin dal medioevo. Queste imprese si candidano ad essere un interlocutore non rituale di quegli amministratori che vogliano parlare di smart city partendo da quello che serve alla loro città e possono esserlo in più modi.
Come ultimo miglio delle città intelligenti, per implementare le soluzioni smart e farle funzionare. Una recente ricerca dell’Ufficio Studi Confartigianato ha evidenziato come solo nei 124 principali comuni italiani, le imprese artigiane attive nei settori associati alle smart cities siano ben 335.390. Come utenti attivi delle città e portatori di istanze, di qualità dei servizi, di competitività, di innovazioni, il cui ascolto è essenziale per politiche pubbliche efficaci. Come animatori degli spazi urbani, luoghi di scambio e di lavoro e che la resa a logiche per fortuna superate di finanziarizzazione e terziarizzazione dell’economia ha voluto espellere da molti centri cittadini, con il risultato di città più brutte, povere e insicure. Anche su questo versante, prima e a fianco della tecnologia, servono scelte coraggiose, come quella di riportare non solo il commercio al dettaglio, ma anche la produzione (seppure piccola, artigianale e a basso impatto) nel cuore dei centri urbani. Sapendo dove andare, ragionando insieme alle forze vive delle città e recuperando il valore di una tradizione urbana millenaria, le città potranno, grazie al supporto insostituibile delle tecnologie, tornare ad essere luoghi di qualità, sviluppo e felicità, che è la declinazione migliore dell’essere intelligenti.