I dati gestiti ed elaborati dalla PA sono “big” per definizione e le amministrazioni sono, senza dubbio, tra i principali generatori e collettori di informazioni, spesso disperse e non sempre strutturate. Secondo i dati di Netics, il patrimonio informativo della pubblica amministrazione è contenuto in 3800 Ced e oltre 58mila server fisici. Nella sola Pubblica amministrazione centrale, focalizzandosi solo su dati strutturati, si contano quasi 1400 basi dati per un volume complessivo non lontano da 500 terabyte. Ma i dati afferenti al Public sector non sono “big” solo per volume, ma anche dal punto di vista della varietà e dell’interesse economico. In questo contesto diventa impensabile che la PA non sfrutti un così ricco giacimento di informazioni e conoscenze sia per migliorare i servizi intra-PA sia per qualificare maggiormente quelli rivolti a cittadini e imprese. Agostino Ragosa, direttore dell’Agenzia per l’Italia digitale, ha promesso entro il 2013 il varo dei primi criteri per il modello Big data nella PA italiana.
“L’Agenzia per l’Italia Digitale dovrà predisporre al Presidente del Consiglio dei ministri un’Agenda annuale in cui definisce contenuti e obiettivi delle politiche più generali di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico, cui farà seguito un rapporto, anch’esso annuale, sullo stato di attuazione di tale processo – spiega Ragosa -. Le attività alle quali l’Agenzia per l’Italia digitale è chiamata ad operare compongono una strategia complessiva sui dati, che indirizza un’area di intervento prioritaria che è quella, appunto, dei Big data”.
Ma la diffusione di informazioni “ragionate” e strutturate nell’amministrazione italiana non sarà un obiettivo facile da raggiungere. A frenare c’è l’eccessiva frammentazione dei data center pubblici che Agid mira a consolidare ed efficientare, anche con il supporto della Fondazione Ugo Bordoni che ha avviato il censimento dei data center.
“Le banche dati di interesse nazionale dovranno seguire politiche di gestione ed accesso tali da soddisfare le esigenze delle PA, evitando duplicazioni, mancati aggiornamenti ed oneri impropri per il cittadino – evidenzia il dg dell’Agenzia -. Al tempo stesso queste dovranno essere dotate di interfacce che seguano criteri di interoperabilità in chiave europea. Solo partendo da questo quadro di razionalizzazione, la disponibilità di ampie fonti informative eterogenee potrà diventare una leva di modernizzazione per la pubblica amministrazione”.
Le politiche di Big data richiamano, dunque, una forte attenzione sui modelli di realizzazione dei sistemi informativi pubblici e di raccolta di informazioni da parte delle amministrazioni. “Ma perché i grandi dati costituiscano una ricchezza ed un’opportunità per le PA, è necessario che gli enti locali e centrali supportino nativamente il processo di generazione delle informazioni – spiega ancora Ragosa -. E questo implica anche una revisione dei business process all’interno delle amministrazioni che non può più attendere”.
C’è poi un altro aspetto che rende i Big data fondamentali per la pubblica amministrazione. Ovvero il loro legame stretto con gli open data: i dati dell’amministrazione sono big, ma devono essere “aperti” e soprattutto “leggibili” da parte di cittadini e imprese. Non basta infatti rendere pubbliche le informazioni: fornire troppi dati, disomogenei e dispersi significa – di fatto – non averne reso pubblico nessuno. La soluzione per evitare queste distorsioni sta proprio nel ricorrere alle tecnologie per all’analisi dei Big data con l’obiettivo di estrarre degli open data in grado di riattivare la trasparenza nell’amministrazione, tramite il controllo dei cittadini.
“La disponibilità di informazione pubblica, con il massimo livello di granularità possibile, costituisce l’alimentazione per lo sviluppo di alcuni settori professionali, sociali ed industriali – conclude Ragosa -. La nostra economia potrebbe valorizzare, attraverso la disponibilità di open data strutturati, l’immenso e senza pari patrimonio artistico, culturale e turistico detenite dagli enti – conclude il direttore generale -. La digitalizzazione del Paese richiede sforzi congiunti ed un cambiamento culturale. Non si tratta di mera sostituzione o iniezione di nuova tecnologia negli uffici ma di un ridisegno di modelli, interni alle PA, nelle relazioni con le PA e tra le PA stesse, in un’ottica europea. In questo senso l’Agenzia, nell’ambito del ruolo ad essa assegnato dalle norme, contribuirà a tale processo, stimolando relazioni e collaborazioni con tutti gli stakeholder di settore”.