PRIVACY

Ott, così le super-lobby fanno pressing su Bruxelles

I lavori in corso della Commissione Ue su privacy e net neutrality scatenano un’attività di “astroturfing” senza precedenti. Fra i 7 e i 10 milioni di euro solo nel 2012 gli investimenti effettuati dalle multinazionali dell’hi-tech nei gruppi di pressione. Ma il datagate rischia di avere un effetto bomerang

Pubblicato il 28 Giu 2013

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Il mondo delle lobby, cui l’America è da lungo tempo abituata, è sbarcato anche in Europa. All’inizio silenziosamente, poi con un’azione sempre più aggressiva. Il punto di svolta è stato l’affermarsi degli Ott come Google e dei social network come Facebook, con forti interessi a dire la loro sulle politiche dell’Ue in materie fondamentali quali la net neutrality e, soprattutto, la privacy.

Due anni fa l’Ue ha creato un registro volontario delle lobby; i primi dati emersi il mese scorso indicano che il grosso dei suoi finanziamenti arriva delle tech companies americane. Le loro tattiche lobbystiche possono essere anche molto aggressive (pensiamo al cosiddetto “astroturfing”, la creazione di un finto gruppo di interesse), molto comuni a Washington, ma rivoluzionarie per Bruxelles.

Numeri alla mano, le grandi tech companies americane (Google, Microsoft, Facebook, Yahoo, Apple e eBay) hanno speso direttamente quasi 7 milioni di euro in azioni di lobby nel 2012, indirettamente 10 milioni. Ma non esiste obbligo di informare sulle spese in attività di lobby in Europa, quindi la cifra potrebbe essere molto più alta e comprendere molte altre aziende, come Amazon. Le stesse Google, Microsoft, Facebook, Yahoo, Apple e eBay hanno speso molto di più (35 milioni di dollari) per le loro lobby a Washington (dati del Centre for Responsive Politics), ma le loro pressioni rappresentano per l’Europa una novità assoluta: fino a cinque anni fa queste aziende non spendevano nulla in Ue per attività di lobby.

“Faccio politica da 25 anni e ho già visto le lobby, ma la pressione che c’è oggi non ha precedenti”, afferma Jacob Kohnstamm, capo dell’Article 29 Working Party, che rappresenta le autorità della privacy europee.

Il recente Datagate, col caso Prism, ha fatto discutere anche sul ruolo delle lobby americane a Bruxelles. L’anno scorso l’amministrazione Obama ha condotto un’azione di lobby presso la Commissione europea e ottenuto l’eliminazione di una certa terminologia dalla nuova normativa sulla privacy che avrebbe protetto i cittadini Ue proprio dal tipo di controllo dei dati di cui ora viene accusata l’intelligence americana. Negli Usa, le aziende tecnologiche si dicono dalla parte dei diritti dei cittadini contro le “spie” del governo, ma in Europa si danno da fare per indebolire i tentativi dell’Ue di rafforzare la protezione dei dati degli utenti.

Non che governo e aziende americane procedano di concerto. Più che altro, si tratta di una “visione americana” della privacy, meno burocratica e regolamentata, condivisa tra le corporation e le autorità d’Oltreoceano, come spiega William Kennard, ambasciatore Usa presso l’Ue ed ex chairman della Federal Communications Commission. “Questo approccio light è più ideoneo alla promozione degli investimenti e dell’innovazione nelle tecnologie digitali”.

Le aziende americane negano di aver alcun legame con l’azione di controllo dell’intelligence Usa; piuttosto, si dicono preoccupate che le regole europee sulla privacy possano influire in modo negativo sul funzionamento di Internet per gli anni a venire.

“Siamo bombardati di email e richieste di incontri da aziende che vogliono ammordire le proposte dell’Ue”, rivela Josef Weidenholzer, europarlamentare austriaco. “Non ho mai assistito a un’azione di lobby così intensa”.

Il gruppo lobbyplag.eu, che si batte per norme più severe a difesa della privacy in Europa, sostiene che diversi europarlamentari di area liberale e di centro-destra si sono piegati alle pressioni americane introducendo emendamenti al testo della Commissione Ue basati direttamente sui suggerimenti delle lobby delle aziende tecnologiche americane. Queste ultime negano, ma è vero che la legge proposta dalla Commissione è stata invasa da oltre 3mila emendamenti. Il caso Prism, tuttavia, sembra aver remato contro gli interessi delle tech company Usa, perché molti europarlamentari, anche i più liberali, sono adesso più inclini a rafforzare le protezioni per i cittadini europei.

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