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Agcom e Antitrust: Google verso il monopolio della raccolta pubblicitaria. E avanza il potere di Facebook. In ballo c’è anche e soprattutto il controllo dei dati degli utenti

Pubblicato il 18 Lug 2013

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A Washington l’Antitrust ha riacceso i riflettori su BigG dopo l’acquisizione di Waze. A Bruxelles la pratica è aperta da tempo e periodicamente richiama l’attenzione del commissario per la concorrenza Joaquin Almunia.

A Roma l’Agcom ha ricostruito un quadro allarmante della situazione e il presidente dell’Antitrust, presentando in Senato a fine giugno il lavoro svolto nel 2012, non ha fatto ricorso a giri di parole: “Nel giro di pochi anni Google potrebbe diventare monopolista nel mercato della raccolta pubblicitaria”.

Il “caso Google” è aperto ed è un caso globale, perché chiama in causa un sistema che vede coinvolti altri operatori ma ha nella corporation di Mountain View l’espressione più evidente e preoccupante. Nella Relazione presentata il 9 luglio al Parlamento il presidente dell’Agcom Angelo Marcello Cardani ha confermato che il mercato dei media è in contrazione, con una sola eccezione: “Unici a crescere del 12% i ricavi su Internet, sebbene rappresentino per ora circa il 4% del Sic (Sistema Integrato della Comunicazione)”. Una piccola fetta ma anomala e molto combattuta. In una approfondita analisi conoscitiva dello scorso novembre l’Authority scriveva: “Nonostante l’estrema varietà e polverizzazione di Internet, il mercato pubblicitario online è connotato da una elevata e strutturale concentrazione”, rileva l’Authority. Internet rappresenta ormai il secondo mercato pubblicitario dopo la televisione ed è l’unico in crescita con percentuali a due cifre. Google, Yahoo, Microsoft, Facebook raccolgono il 60% delle risorse pubblicitarie online, sottolinea l’indagine Agcom che fotografa una situazione in rapida evoluzione e con la posizione predominate di Google, “un soggetto con una quota al di sopra del 40%, con una differenza rispetto al secondo operatore, Matrix del gruppo Telecom Italia, di oltre 30 punti percentuali. Tale posizione è vieppiù confermata se si analizza il solo segmento search. In questo caso, l’indice di concentrazione supera gli 8.000 punti mentre la quota di Google è superiore all’80%”.

“L’assenza di regole adeguate rischia di marginalizzare l’industria editoriale” avverte Giovanni Pitruzzella. Un’idea per evitarlo, il rischio, in Antitrust c’è: inserire nel Sic le attività svolte da “operatori fornitori di contenuti, gestori di portali, motori di ricerca, social network” a vendita di spazi pubblicitari. Sarebbe il primo passo per definire l’arena e poter successivamente stabilire le regole della disfida, mentre adesso le linee di bordo campo sono sfumate e c’è chi gioca un po’come gli pare e piace. Che il confronto sia sulla trincea della vendita di spazi pubblicitari non c’è dubbio. Quale sia la casamatta da conquistare non è ancora chiaro: “Ai nuovi operatori digitali non solo spetta una parte dei ricavi ma, ancora più importante, spesso sono loro a detenere e controllare i dati degli utenti”, fa notare Agcom. Oggi il “prepotente” si chiama Google ma non è detto che debba essere sempre così. L’invasione degli ultracorpi non è finita. Agcom fa notare la posizione di Facebook, “che risulta essere il secondo operatore in termini di audience ma è appena al nono posto con riferimento alla raccolta pubblicitaria. Gli operatori attivi nei social network non sembrano ancora riuscire a tradurre pienamente in termini di ricavi pubblicitari la propria forza dal lato degli utenti”. Conclusione: “l’affermazione pubblicitaria di un soggetto come Facebook appare inevitabile”.

Cosa fare non è semplice da decidere se non tenere sotto controllo la situazione e sperare nell’Europa: “Occorre pertanto attuare un’attenta azione di monitoraggio finalizzata a scongiurare la chiusura di un mercato così innovativo e dinamico, basata su una scrupolosa analisi dei benefici ma anche dei costi di ogni intervento, in ossequio ai principi stabiliti dall’Europa nel caso dei mercati innovativi”. Oltre le questioni regolatorie, ci sono le evoluzioni dei mercati. Gli investimenti pubblicitari si muovono molto più spesso e rapidamente che in passato. A ricordarlo è Google, forse scaramanticamente, per rispondere alle pressioni dell’Antitrust. Ma dovrebbero ricordarlo anche editori e i player italiani del mercato pubblicitario per vedere un po’ meno grigio il futuro.

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