Il destino di Skype è sospeso tra autonomia e integrazione con Microsoft. Quale direzione seguirà potrebbe essere spiegato da una storia.
Nel 1997 Microsoft acquisì per 400 milioni di dollari Hotmail, il secondo più grande servizio di posta elettronica via web. Il servizio era basato su server Unix e tecnologie open source. In pochi anni Hotmail è stata integrata, un pezzetto alla volta. È cambiato il nome (Msn Hotmail, poi Windows Live Hotmail e infine Outlook.com) e sono cambiate le tecnologie. Come ha spiegato Dick Craddock all’epoca group program manager di Windows Live Hotmail: “Dal 2004 il team di ingegneri di Hotmail ha riscritto i sistemi di backend, spostando tutto dai costosi server Unix a nuovi sistemi basati su Windows server e Sql”. Dal 2005 è stato riscritto anche tutto il software del front-end.
Nel 2011 Microsoft compra Skype da eBay per 8,5 miliardi di dollari e fino a oggi ne mantiene il brand separato dagli altri prodotti. Nessun annuncio di fusione del marchio, anche se procede l’integrazione di mercato e tecnologica con Microsoft: gli iscritti a Skype in Gran Bretagna possono usare i servizi Voip direttamente dall’interfaccia web di Outlook.com senza bisogno di installare il client software (la funzionalità verrà estesa anche ad altre aree del mondo) e da poche settimane è possibile fondere insieme le più di 600 milioni di identità Skype con quelle Microsoft (il nome utente usato per i vari Hotmail, Outlook.com, Messenger o SkyDrive) per avere un unico accesso.
Questo, però, è solo il lato utente. Quel che è più interessante è invece quanto sta accadendo dietro le quinte di Skype: l’infrastruttura è costruita su server Linux, con software realizzato con linguaggi di programmazione open come PHP, Perl e Python, come il Corriere delle Comunicazioni ha potuto verificare scorrendo le competenze richieste nelle offerte di lavoro per tecnici Skype. Inoltre, l’architettura di comunicazione non è basata su datacenter tradizionali ma su traffico peer-to-peer (P2P), cioè le telefonate e i messaggi vengono instradati da una serie di “super-nodi” che sono in realtà gli inconsapevoli utenti Skype.
La prima traccia del cambiamento di Skype risale a prima dell’acquisizione dell’azienda: un piano messo in moto per rendere più stabile la qualità del servizio di telefonia attraverso Internet. Per risolvere il problema di un paio di crash della rete P2P Skype aveva iniziato a realizzare attorno al 2008 dei super-nodi gestiti dall’azienda stessa in data center tradizionali. Come ha spiegato in una mail Matthew Kaufman, principal architect di Skype, il bisogno di stabilità “è in parte il motivo per cui Skype è passato a una serie di ‘super-nodi dedicati’ su server che controlliamo e che possono gestire moltissimi più clienti per host, in data-center protetti e sempre attivi, che fanno girare codice dedicato”.
Il passaggio da un’architettura P2P a una centralizzata pare essere stato accelerato con l’arrivo di Microsoft per motivi economici e di strategia. Lo ha rilevato un anno fa Kostya Kortchinsky, esperto di Immunity Security, che ha scoperto i 10mila super-nodi (sempre basati su server Linux con distribuzione “grsecurity”) gestiti da Microsoft, che devono contribuire a gestire i 41 milioni di utenti collegati al servizio in contemporanea.
“Skype è inserita in un portafoglio di servizi di Microsoft – dice Claudio Campanini, partner di AT Kearney – e va inquadrata in questo sistema: Microsoft fa pesanti investimenti nei sistemi operativi mobili e sta riorientando molte delle sue applicazioni verso i tablet e gli smartphone”. Con la trasformazione dei Pc in tablet e smartphone, l’attività di super-nodo avrebbe un impatto elevato sia sulla durata delle batterie che sui costi della connessione: “In una logica di mercato delle app – dice Campanini – Skype è una delle app più di successo al mondo, ma lavora con logica P2P che non va bene per dispositivi mobili. Inoltre, deve garantire più qualità e sviluppare un modello di ritorno degli investimenti. Simile magari a quello di Whatsapp, ma con una base dati di più di 600 milioni di utenti quasi tutti non paganti. In definitiva, nonostante Skype sia un servizio Ott, ha caratteristiche che lo rendono simile a una telco, soprattutto se passa dalla produzione di software alla gestione di servizi di comunicazione di Tlc in parte a pagamento”.
Skype, già citata in giudizio negli Usa per aver ostacolato la concorrenza rendendo difficile l’interoperabilità con altre piattaforme Voip (non c’è ancora una decisione al riguardo) sta intanto aprendo i servizi Voip alla piattaforma Lync. Quindi Skype avrebbe gli strumenti per aprire all’interoperabilità con la concorrenza e probabilmente, secondo l’ordinamento del nostro Paese, dovrebbe operare con un regime di autorizzazione generale per servizio telefonico accessibile al pubblico, analoga a quella delle altre telco. Cosa che non avviene.
Tuttavia, il dubbio più forte sul perché in realtà Microsoft e prima ancora Skype abbia iniziato la migrazione verso un’architettura tradizionale client-server e abbia abbandonato il sistema (impossibile da intercettare) basato su comunicazioni P2P viene da un’inchiesta del New York Times che a giugno segnala, in un articolo sul datagate, che dal 6 febbraio 2011 (quindi prima dell’acquisizione di Microsoft) anche Skype era entrata nel programma che dava accesso alle telefonate e ai messaggi alla Nsa. Questo dopo che nel 2008 Skype aveva creato un proprio programma segreto Project Chess per fornire informazioni alle agenzie americane: proprio nel momento in cui l’azienda decide di passare a una serie di suoi “super nodi dedicati” e cominciare ad abbandonare la rete P2P. Come ha scritto Bruce Schneier, uno dei più importanti esperti di sicurezza al mondo, “ci chiedevamo da tempo se Skype lasciasse spiare i suoi utenti. Adesso lo sappiamo”.