Spingere l’adozione delle nuove tecnologie in nome della tutela
del made in Italy in un’ottica anti-contraffazione. Ma anche di
innovazione della filiera a beneficio dell’efficienza operativa,
della sicurezza del prodotto e anche dei costi finali per i
consumatori. Questi, in sintesi, gli obiettivi della proposta di
legge “Reguzzoni-Versace”, dai nomi dei primi due
parlamentari firmatari (rispettivamente deputati di Lega e Pdl) –
ma sono una trentina in tutto i firmatari bipartisan –
attualmente al vaglio del Parlamento (è stata presentata lo scorso
20 luglio), che mira a “introdurre un sistema di tracciabilità
per la valorizzazione dei prodotti tessili, che consenta alle
imprese di qualificare la propria produzione e ai consumatori di
avere maggiori informazioni sulla qualità e sulla sicurezza dei
prodotti acquistati”, si legge nel testo della proposta.
La proposta di legge non fa riferimento esplicito ad alcuna
tipologia di soluzione tecnologica ma va da sè che tracciabilità
fa inevitabilmente rima con Rfid. Sull’adozione
dell’identificazione a radiofrequenza, peraltro, sta lavorando da
un anno a questa parte la cabina di regia istituita presso il
ministero dello Sviluppo Economico: al tavolo di lavoro siedono,
oltre ai rappresentanti delle istituzioni, il Cnipa, La Fub, il
Garante per la privacy, l’Istituto superiore delle Comunicazioni
e delle tecnologie dell’Informazione, l’università La Sapienza
di Roma, Assoknowledge e il Gruppo Tia (Tecnologie identificazione
automatica) www.gruppotia.it.
“Abbiamo già messo nero su bianco alcune proposte per
organizzare la filiera Rfid nel tessile e risolvere alcune spinose
questioni come quelle legate alla privacy dei clienti finali, ossia
dei consumatori”, spiega al Corriere delle Comunicazioni Lorenzo
Pietrosanti della direzione generale del Gruppo Tia. “Una delle
proposte prevede ad esempio che gli utenti finali possanno decidere
in totale autonomia, una volta acquistato il capo, se continuare a
mantenere attivi i tag Rfid o se ‘spegnerli’ contestualmente
all’acquisto”, spiega Pietrosanti.
Il “caso” Benetton che qualche anno fa fece levare grida di
allarme in merito alla “tracciabilità” dei cittadini a fini
“commerciali” e di “marketing” sembra aver trovato una
prima soluzione. “Il consumatore deve avere assoluta libertà
di scelta in merito all’uso del tag. E se deve decidere di
mantenerli attivi deve ottenere dei benefici in cambio”,
continua Pietrosanti. Primo: si sta valutando la possibilità di
abbinare i tag con dei “benefit”: “L’etichetta
diventerebbe una sorta di pass vip, ad esempio per l’accesso in
locali esclusivi oppure per ottenere sconti per successivi
acquisti. E per essere immediatamente “riconosciuti” quando
si torna in boutique”, anticipa Pietrosanti. “Mantenere
l’etichetta elettronica sul capo consentirebbe anche, ad
esempio, di non rischiare sostituzioni illecite nelle lavanderie:
ogni capo ha la sua carta di identità quindi sarebbe impossibile
fare indebite sostituzioni”, aggiunge Pietrosanti.
Full story nel numero 19 del
Corriere delle Comunicazioni in uscita il 9 novembre