Gli abbonamenti online spingono i conti del New York Times compensando il calo della raccolta pubblicitaria. Nel secondo trimestre dell’anno il quotidiano statunitense è tornato in attivo grazie all’aumento degli abbonamenti digitali (+40% a 738.000). I profitti netti sono saliti a 20,1 milioni di dollari, 13 centesimi per azione, contro il rosso da 87,6 milioni, -58 centesimi per azione, dello stesso periodo dell’anno scorso. Escludendo le voci straordinarie i profitti sono saliti da 11 a 14 centesimi per azione. Il fatturato, invece, è calato dello 0,9% a 485,4 milioni di dollari.
Complessivamente il fatturato generato dalla diffusione del quotidiano è cresciuto del 5,1%, ma quello pubblicitario è sceso del 5,8% (-6,8% sulla carta stampata, -2,7% sul digitale). I risultati riflettono “l’evoluzione in corso delle iniziative per gli abbonamenti digitali” ha detto l’amministratore delegato Mark Thompson.
È dal 28 marzo 2011 che il New York Times online ha scelto di diventare a pagamento. Il quotidiano è stato il principale quotidiano generalista a chiedere ai suoi lettori di pagare per l’accesso alle notizie, rompendo così 15 anni di consultazioni gratis e staccandosi dal modello dell’Internet gratuito. All’inizio è stato proposto un modello di abbonamento per cui lettori potevano consultare in via gratuita 20 articoli al mese, dopodiché veniva loro chiesto di pagare.
Prima di lui il Financial Times, ma il paywall si è presto esteso a molti altri giornali cartacei e online, prima negli Usa, poi in Gran Bretagna e infine anche in Italia.