Allarme e preoccupazione per le “mani” spagnole su Telecom Italia. I sindacati non usano mezzi termini per giudicare l’accordo raggiunto stanotte che vede il passaggio degli spagnoli di Telefonica dal 46% al 65% di Telco, la scatola che detiene il 22,4% di Telecom Italia. A preoccupare soprattutto le possibili ricadute occupazionali: si parla di circa 12mila esuberi, concentrati perlopiù nell’area commerciale.
Michele Azzola (Slc Cgil): “Quella con Telefonica è la prima operazione che consegna agli stranieri un gruppo strategico italiano. Un’operazione mai avvenuta in nessun Paese occidentale. Il rischio è secondo le sigle di settore, che Telefonica adotti per Telecom lo stesso modello di esternalizzazione del Call center e dell’Information Technology che ha usato in casa propria: “In questo caso ci sarebbero 12mila lavoratori a rischio. Di fronte a questo scenario il Governo ha il compito di convocare subito le parti sociali e Telefonica per conoscerne il piano e valutare l’utilizzo della golden share prevista dall’articolo 22 dello Statuto di Telecom”.
In una nota congiunta le segreterie nazionali Cgil e Slc definiscono il progetto ”un’operazione dai contorni inquietanti” nei confronti della quale il governo deve intervenire convocando ”immediatamente gli azionisti di riferimento di Telecom Italia e le Parti Sociali per verificare quale sia il progetto industriale su Telecom”. ”Nel mentre il Presidente del Consiglio tenta di promuovere l’Italia all’estero e nel totale silenzio della politica – si legge nella nota – è strato raggiunto l’accordo per l’acquisto della quota di controllo di Telecom Italia da parte di Telefonica. E’ la prima volta che un asset strategico per il futuro del Paese è acquisito da un’impresa straniera, senza che ci sia stata una preventiva discussione pubblica sulle ricadute e sugli interessi del Paese e, in assenza di un deciso cambio di passo, quanto avvenuto è destinato a ripetersi fin dalle prossime settimane”.
Per la Cgil e la Slc ”siamo in presenza di un’operazione i cui contorni sono inquietanti perché i problemi di sottocapitalizzazione di Telecom e l’ingente debito che ne paralizza le capacita’ d’investimento sono tutt’altro che risolti, anzi potrebbero essere aggravati dalla situazione finanziaria di Telefonica a sua volta caratterizzata da un elevatissimo tasso di indebitamento. E’ evidente – proseguono – che se i contorni di un possibile piano industriale fossero la vendita di Tim in Brasile e Argentina, riorganizzando l’azienda attraverso la cessione di assets strategici quali le attivita’ di customer e quelle dell’informatica per poi procedere alla fusione per incorporazione di Telefonica e Telecom Italia saremmo in presenza di un’operazione che fa uscire l’Italia dal settore delle telecomunicazioni, togliendo al Paese la possibilità di indirizzare gli investimenti e potenziare la rete, condizioni imprescindibili per il rilancio dell’economia. In tal caso le ricadute occupazionali sull’attuale perimetro di Telecom Italia potrebbero essere incalcolabili”.
La situazione determinatasi, continua la nota, ”conseguenza diretta degli errori commessi durante la privatizzazione le cui conseguenze negative hanno portato Telecom Italia a passare da 5* operatore mondiale di telefonia con 120.000 dipendenti a un’azienda sottocapitalizzata e indebitata in misura spropositata, deve vedere una pronta reazione al fine di evitare i rischi per il Paese e ridare un quadro di certezze e di trasparenza nei confronti dei 46.000 dipendenti diretti e delle altre decine di migliaia di lavoratori indiretti che dipendono dall’azienda stessa”. Cgil e Slc chiedono cosi’ un intervento dell’esecutivo.
”Il Governo – affermano – deve convocare immediatamente gli azionisti di riferimento di Telecom Italia e le Parti Sociali per verificare quale sia il progetto industriale su Telecom, come si pensi di affrontare il tema della sottocapitalizzazione e degli investimenti necessari a rinnovare la rete, elemento strategico per l’ammodernamento dell’intero Paese. Nel caso non vi fossero gli elementi di chiarezza necessari, i Ministeri competenti dovranno esercitare i poteri previsti dalla golden share per dettare tutte le condizioni necessarie a salvaguardare gli interessi generali e le tutele occupazionali di migliaia di lavoratori.
La stabilità non può rappresentare un valore a prescindere da quel che accade all’economia reale del Paese, e l’Italia non può permettersi di perdere ulteriori opportunità per poter tornare a crescere. Il sindacato – conclude la nota – è determinato a mettere in campo tutte le iniziative necessarie per evitare che ulteriori errori facciano pagare ai dipendenti e al Paese un ulteriore prezzo che riteniamo insopportabile quanto ingiustificato”.
Salvo Ugliarolo (Uilcom): “La priorità è garantire la tenuta occupazionale di Telecom. Siamo contrari a operazioni che comportino spezzatini dell’azienda e che mettano a rischio altri posti di lavoro”.
Stefano Conti (Ugl Comunicazioni): “Tanto tuonò che alla fine piovve! Ed un altro un asset, tra i più strategici per il Paese, come quello delle telecomunicazioni finisce sotto il controllo straniero. Ormai da anni l’Italia è terra di conquista a livello economico e produttivo e la politica resta immobile a guardare, al riparo dalla sua torre d’avorio. Il Governo poteva esercitare con la golden share un potere di autorizzazione condizionata in presenza di determinate operazioni che riguardano strutture strategiche per la Nazione, ma si è ancora in attesa di un provvedimento attuativo della Legge n. 56 dell’ 11maggio 2012 che viene sistematicamente rinviato da mesi. Si sperava in una partecipazione economica in Telecom della Cassa Depositi e prestiti, ma alla fine neppure questa opzione ha interessato il Governo. Ma quello che preoccupa di più è rilevare la totale assenza di un politica industriale nella quale si parli di investimenti e valorizzazione delle risorse. Con un’Agenda Digitale finalmente pronta a partire e con una serie di opportunità da sfruttare come quelle della nuova rete di accesso in fibra ottica NGN, dubitiamo che un’azienda come Telefonica, il cui super indebitamento finanziario si aggira sui 51 miliardi di euro ed una politica di dismissioni portata avanti da tempo, abbia trai i suoi obiettivi strategici il rilancio di Telecom Italia. Per cui la probabile decisione del prossimo Cda di Telecom Italia del 3 ottobre prossimo di avviare la societarizzazione, leggasi spezzatino dell’azienda, inevitabilmente metterà a rischio migliaia di posti di lavoro in azienda ed altrettanti nell’indotto, al di là di qualsiasi smentita possa arrivare dal management di Telecom Italia. E questo nessuno può permetterlo, tanto meno consentirlo!”.
Raffaele Bonanni (Cisl): “L’operazione non è una buona pagina economica italiana. Fino a che si parla di aziende che perdono soldi si può discutere, ma se si parla di aziende che producono e portano avanti il nome dell’Italia dando prestigio al Paese, allora è davvero diabolico pensare di alienarle. La preoccupazione principale è quella della tenuta occupazionale, su questo vogliamo garanzie. Il fatto che Telefonica sia salita al 65% di Telco, la holding che controlla il 22,4% di Telecom, suggerisce come la privatizzazione e l’alienazione senza controllo – spiega – porta al fatto di andare in mano agli altri. In queste ore siamo molto preoccupati, vogliamo capire che idee ci sono sulle aziende di cui lo Stato detiene pacchetti azionari. Noi abbiamo chiesto di vendere i beni demaniali e non le aziende che fanno reddito”. Al governo diciamo di tenere la rete in mano pubblica”.
Luigi Angeletti (Uil): “E’ un altro duro colpo per noi, così perderemo un’altra delle poche, grandi imprese che ancora restano sotto il controllo italiano. E accadrà fatalmente quello che è naturale che accada: che nei prossimi anni, quando si tratterà di decidere dove investire lo si farà sulla base di interessi, legittimi, che però non risiederanno a Roma ma a Madrid. E naturalmente questo accordo ha una ricaduta per noi negativa sul fronte occupazionale non solo nell’immediato ma soprattutto per il futuro”.
Giovanni Centrella (Ugl): “Con la politica del rigore, concentrata solo sull’equilibrio dei conti pubblici, si sta realizzando da tempo una costante decrescita economica e un parallelo processo di deindustrializzazione: il caso Telecom è solo l’ultimo di una lunga serie. E’ necessaria una immediata convocazione di tutte le parti sociali da parte del Governo, altrimenti sarà mobilitazione. Non c’e’ solo la Legge di Stabilità di cui parlare ma urge un confronto serio sulla strategia reale che si intende porre in essere per arrestare un evidente declino produttivo e industriale del Paese, perché non può essere considerata sufficiente la strategia puramente ideale contenuta nel piano Destinazione Italia”.
Annamaria Furlan (Cisl): “Con rammarico apprendiamo che l’ultima grande azienda di comunicazione italiana non sarà più italiana, in questo modo sul nostro territorio nazionale avremo la presenza esclusivamente di aziende di proprietà di altri paesi. Ma non solo Telecom per la privatizzazione della rete degli anni ’90 è anche proprietaria della rete di comunicazione telefonica: è ovvio, quindi, che in questo modo, nel settore delle Tlc, anche tutta la nostra rete di comunicazione, un tempo italiana, ora diventerà di proprietà straniera. Bisogna che il governo attivi immediatamente un tavolo di confronto per capire cosa intende fare perché la proprietà della rete non sia un’esclusiva dell’azienda spagnola. Serve passare dalla politica degli annunci ad una strategia vera che il Paese deve adottare altrimenti non avrà più in sua proprietà quelle che sono le reti nevralgiche fondamentali per la tenuta del sistema economico oggi più che mai traballante”.