L’INTERVISTA

Banda ultralarga negli edifici, Di Canosa: “Fissare parametri Sla e rivedere linee guida Agcom”



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Secondo il presidente della Smart Buildings Alliance “le telco si trincerano dietro la scusa delle performance non controllabili”. E bisogna sanare le questioni regolatorie: “Il contorsionismo normativo ha consentito di continuare a installare fibra a piacimento senza dover necessariamente usare gli impianti multiservizio anche dove presenti”

Pubblicato il 4 set 2024



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“In ambito di accesso alla banda ultralarga occorre fissare i parametri di service level agreement tra gli operatori e i gestori degli impianti multiservizio. Ad oggi le telco finiscono per rifiutare di usare quei pochi impianti già installati trincerandosi dietro la scusa delle performance non controllabili di un impianto di distribuzione non gestito da loro. E un ulteriore passaggio di revisione andrebbe fatto sulle linee guida Agcom in materia di accesso alle unità immobiliari, che in un esercizio di contorsionismo normativo ha consentito alle telco di continuare ad installare fibra ottica a proprio piacimento senza dover necessariamente usare gli impianti multiservizio anche laddove installati”: Domenico Di Canosa, presidente della Smart Buildings Alliance Italia fa il punto con CorCom sulle questioni da sanare per spingere l’infrastrutturazione a banda ultralarga negli edifici anche e soprattutto tenendo conto degli obiettivi Pnrr. Tema di cui si parlerà in occasione del “Summit for Territories 2024”, terza edizione dell’evento organizzato dall’associazione che andrà in scena a Roma il prossimo 11 settembre (qui il programma)

Secondo Di Canosa siamo di fronte a “un vero e proprio spreco di risorse che potrebbe appunto essere evitato predisponendo dei contratti di Sla con obbligo di uso dell’infrastruttura esistente, certificata e che rispetti dei requisiti minimi”. E il presidente rilancia con una proposta: “Vedrei bene la possibilità per un privato di collegare la propria abitazione a proprie spese alla risorsa in fibra ottica più vicina a patto, appunto, che la realizzazione della connessione venga fatta a regola d’arte e l’infrastruttura posata rispetti dei requisiti minimi. Si risolverebbero decine di contenziosi in un attimo. Sarebbe ora che definitivamente le telco si dedichino a sviluppare servizi a valore aggiunto per i cittadini e per la pubblica amministrazione a partire dalle necessità reali di questi attori, lasciando definitivamente da parte ogni velleità sull’infrastruttura di rete”.

Presidente l’innovazione degli edifici in chiave smart building è una sfida prioritaria per consentire ai cittadini di sfruttare il potenziale del digitale e della connettività e alle amministrazioni di trasformare le città in smart city. In Italia a che punto siamo?

Secondo gli ultimi dati Eurostat, al momento l’Italia risulta essere un vero e proprio fanalino di coda in Europa per quanto riguarda l’alfabetizzazione digitale e l’uso corretto di internet con solo un 46% della popolazione fra 16 e 74 anni che ha una cultura digitale di base. Chiaramente questo influisce molto sulla possibilità che gli italiani siano disposti a spendere per dispositivi che rendano un edificio smart, ma di cui materialmente non saprebbero come fruirne. L’italiano medio oggi spende in tecnologia digitale sono per non sentirsi escluso dal mainstream mediatico e dai social network. Occorre prendere in considerazione l’idea di una educazione digitale massiva in stile maestro Alberto Manzi per proiettare i nostri concittadini nel terzo millennio e cogliere le opportunità positive che la tecnologia ha da offrirci.

Portare la fibra negli edifici esistenti è ancora molto complesso, fra resistenze dei condomìni e mancanza di spazio nelle canaline. Per non parlare dell’installazione delle antenne 5G. Quanto la questione della mancanza di adeguata connettività può impattare sulla sfida smart building?

Moltissimo se si pensa gli aspetti in cui è necessaria più banda, come il video streaming, e meno latenza, come nella gestione degli allarmi di sicurezza. La mancanza di un’adeguata rete di telecomunicazione limita peraltro anche lo sviluppo di una corretta rete di centrali energetiche virtuali aggregate, meglio conosciute come virtual power plant. Mediare fra produzione da Fer, stoccaggio, distribuzione e consumo di energia elettrica è la sfida che ci accompagnerà da qui al 2050. Sarà quasi impossibile vincerla se prima non getteremo le basi per un’adeguata connettività, che nei condomini dove abitano numerose famiglie non può che essere in fibra ottica per essere davvero utile alla causa.

C’è il tema cybersecurity: in aumento attacchi e fughe di dati dovuti alle intrusioni degli hacker nei sistemi domotici e negli impianti di videosorveglianza e persino energetici. Privati ma soprattutto pubblici. La situazione rischia di sfuggire di mano?

Su questo tema i buoi sono belli che scappati dal momento in cui abbiamo liberamente permesso la vendita di apparecchiature collegate a cloud extraeuropei sul mercato della grande distribuzione e laddove l’utente finale, poco istruito digitalmente, si assume la responsabilità di accettare che i dati rilevati da queste apparecchiature IoT siano inviate ovunque il venditore ritenga opportuno. Un punto su questa situazione va messo: apparecchiature non critiche dovrebbero comunque inviare dati a server europei che rispettino i requisiti minimi delle normative comunitarie in materia di privacy, mentre tutti gli altri aspetti di cybersecurity dovrebbero rispondere a delle normative nazionali ben precise. Una specie di marchio Imq per la cybersecurity, se vogliamo. È per questo che chiediamo che l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale sia affiancata da un Comitato Informatico Italiano, che alla stregua di quanto fa Cei in ambito elettrico ed il Cti in ambito termotecnico, definisca i requisiti minimi di sicurezza cui deve rispondere un apparato informatico collegabile da un qualunque cittadino, anche non digitalmente istruito, alla rete internet in Italia.

 

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