Un anno dal Decreto Crescita 2.0. Un anno di Agenda digitale. Ma l’Agenda, a parte i numerosi impegni presi e da prendere, per ora ha sortito ben pochi risultati concreti. C’è la crisi, sì. E le priorità del governo Letta sono ben altre. Ma qualcosa è sfuggito all’esecutivo. E non è un particolare di poco conto: alla squadra di governo sembra sfuggito che il digitale rappresenta uno strumento chiave di spending review, lotta all’evasione fiscale, aumento del Pil, creazione di nuovi posti di lavoro. Eppure si tratta di evidenze sotto gli occhi di tutti.
Insomma, come da “tradizione” italiana, siamo al paradosso dei paradossi: prima il governo annuncia l’Agenda digitale, affida ad Agostino Ragosa la guida dell’Agenzia per l’Italia digitale per centralizzare la governance, poi nomina Francesco Caio a Mr Agenda digitale (il super consulente del governo è anche Digital Champion) per creare un team forte. Ma per il resto chi si è visto si è visto. Nomine a parte nient’altro è stato fatto. E si rischia pure di averle fatte senza capire davvero dove si voleva andare a parare perché pare – sono voci di Palazzo – che Ragosa e Caio non sarebbero poi così allineati su obiettivi e roadmap e che fra i due non scorrerebbe buon sangue. Insomma si rischia pure sul riassetto della governance. Tanto più che lo statuto dell’Agid è ancora latitante.
Ad ogni modo Caio ha deciso di mettere le carte in tavola annunciando la “sua” Agenda. Non più un fritto misto di grandi proposte difficilmente realizzabili in tempi brevi, ma tre priorità da cui partire subito: anagrafe unica, identità digitale e fatturazione elettronica le tre leve su cui fare forza per mettere in moto la macchina e creare le condizioni per realizzare gli altri progetti. Anche Confindustria Digitale è del parere che bisogna puntare sui pochi, grandi progetti legandoli ad una roadmap vincolante. Ma più in generale gli industriali dell’Ict chiedono che si passi all’azione, che dai render si arrivi alla progettazione esecutiva per usare una metafora da architetti.
Il 25 ottobre ci sarà il primo Consiglio Ue della storia interamente dedicato all’Agenda digitale. Un appuntamento storico e un’occasione per l’Italia di accelerare sui progetti. Reti e investimenti, servizi digitali, trasformazione digitale della PA e innovazione e start up i quattro grandi temi sul tavolo. Palazzo Chigi e il vice ministro allo Sviluppo economico Antonio Catricalà hanno già coinvolto le associazioni e le imprese interessate per preparare il “draft” che metterà nero su bianco i progetti italiani. L’Italia dunque dovrà presentarsi davanti all’Europa con un piano chiaro di obiettivi e tempistiche in linea con i target già indicati dalla Digital Agenda di Neelie Kroes. Questa volta il nostro Paese dovrà metterci la faccia delineando obiettivi e roadmap davanti ai ministri di tutti i Paesi Ue, e forse sarà la volta buona per darsi una mossa.
Nel frattempo il mondo corre veloce e la digitalizzazione sta rivoluzionando paradigmi e business model. Le telco sono chiamate alla sfida dell’ultrabroadband fisso-mobile e dei sevizi digitali, e se è vero che in parte si stanno già muovendo in questa direzione – le offerte sono sempre più IT oriented – è anche vero che la strada è ancora in salita e che per competere davvero con gli Ott, ossia con le web company americane – peraltro da parte loro intenzionate ad invadere sempre di più il terreno delle telco (Google si sta facendo una propria rete in fibra, tanto per citare il colosso “capofila”) – bisognerà trovare un “killer model”. Il mercato non è più ricettivo nei confronti di un modello di business improntato sulla vendita-prodotto; la PA è ancora molto poco avvezza al linguaggio dell’informatica anche per l’età media dei funzionari e dei nostri amministratori pubblici. Quindi è soprattutto l’offerta che deve essere in grado di suscitare quella domanda con proposte adatte a quel tipo di situazione. Altrimenti si rischiano solo false illusioni sulla digitalizzazione-Paese.
Resta da sciogliere (ancora!) il nodo delle infrastrutture: il dibattito newco non newco, Cdp non Cdp, scorporo non scorporo è divenuto noioso quanto sterile. La verità è che senza una vision strategica dall’alto si continuerà a discutere all’infinito senza parare da nessuna parte mentre il mondo continua a correre veloce. Il passaggio di Telecom Italia sotto il controllo spagnolo – Telefonica è salita al 66% (dal 45%) in Telco (la holding a cui fa capo il 22,4% di TI) – rischia di creare un’ulteriore fase di stallo: cosa ne sarà del progetto di scorporo? Gli spagnoli hanno intenzione di investire nelle nuove reti o semplicemente stanno puntando a monetizzare il “vecchio” acquisto attraverso la vendita di Tim Brasil facendo in Telecom il minimo “sindacale”? Per il momento è troppo presto per rispondere.
Visto che in Europa soffia aria di consolidamento, non sono nemmeno da escludersi sorprese. Sui media negli ultimi mesi si sono rincorse come onde in un mare in tempesta le voci più innumerevoli: Naguib Sawiris, Carlos Slim, AT&T e persino Vodafone. Tutti potrebbero avere interesse a guardare a Telecom. Un’Opa è costosa, ma è anche vero che il titolo Telecom è particolarmente deprezzato.
L’integrazione fisso-mobile è intanto diventata strategica in casa Vodafone: l’azienda britannica ha appena portato a casa l’acquisizione di Kabel Deutschland per 7,7 miliardi (è arrivato anche il via libera dell’Antitrust Ue) e si prepara ora per una maxi campagna di investimenti in Grecia e nei Paesi dell’Africa oltre che in quelli dove è tradizionalmente radicata. Italia compresa, come spiega in un’intervista al nostro giornale (a pag. 5) Paolo Bertoluzzo, dal primo ottobre numero due del colosso britannico, braccio di destro di Vittorio Colao.