Julian Assange sostiene che Wikileaks risponde alla militarizzazione cibernetica. Se “militarizzazione” è subordinare le leggi alla forza (i nostri nonni sapevano che la guerra tacita le leggi), circoscrivere la forza nelle caserme è sciocco, prima che inesatto: il potere esprime forza multidirezionale e cangiante, dissimulata e vocata alla menzogna. Per questo, all’inizio ero scettico su Assange e sospettavo che fosse fonte di disinformazione, dietro la cortina di super segreti svelati al mondo. Le rivelazioni su Prism – confermando una crisi sistemica nel mondo del cyber – mi inducono a fidarmi di più dei Wikileakers, anche se il sospetto di manipolazione non è del tutto sopito. Le presunte vittime (dipartimento di Stato, Cia, Nsa…) potrebbero usare la falla cibernetica per servire polpette velenose “pro domo” loro. La distinzione tra falso e vero, quando entrano in gioco apparati segreti e potentissimi, è labile e si perfeziona solo quando gli eventi, proposti come genuini, avranno esaurito la loro parabola; quando, insomma, è troppo tardi per chi li subisce. A quel punto, secondo un criterio popperiano, – “Il falso non è falsificabile, altrimenti sarebbe vero” – l’artefatta realtà non è più manipolabile: così rimane lì a perenne denuncia del falso. Popper tuttavia non dice quanto tempo occorre. Esempio? Dalla guerra dello Yom Kippur (20 anni fa) il costo del greggio va di pari passo con l’intensità delle cannonate. Eppure continuano a salmodiare di “leggi di mercato” che, come in Siria, sono state letteralmente gasate da gas inesistenti: parabola in fieri, dall’esito tanto più catastrofico quanto più procrastinato e intossicato.
www.pierolaporta.it