Ecosia e Qwant, due motori di ricerca concorrenti di Google, hanno annunciato una partnership per costruire un indice di ricerca europeo e ridurre la loro dipendenza dalle Big Tech statunitensi.
Più nello specifico, le due società hanno concordato una joint venture, denominata European Search Perspective o Eusp, con una proprietà divisa al 50%. In vista del lancio in Francia all’inizio del 2025, la newco mira a fornire risultati di ricerca in lingua francese e tedesca “migliorati”.
Un settore ultra concentrato
Ecosia ha sede a Berlino, mentre Qwant a Parigi, dove sviluppa un motore di ricerca incentrato sulla privacy che promette di non tracciare gli utenti e di non rivendere i loro dati personali. La soluzione offerta da Ecosia si concentra invece sulla sostenibilità, con l’impegno di piantare un albero per ogni 50 ricerche effettuate sulla piattaforma.
A prescindere dai tentativi di differenziazione che le aziende possono fare, stiamo parlando di un settore ultra concentrato: l’infrastruttura di ricerca è ciò che alimenta l’accesso al web della stragrande maggioranza degli utenti, e come noto al momento è controllata principalmente da Google, il motore di ricerca dominante con una quota superiore al 90% del mercato globale. A questo bisogna aggiungere che persino i motori di ricerca alternativi, come Ecosia e Qwant, devono affidarsi alla tecnologia di incumbent, come per esempio Microsoft, per fornire risposte alle query.
Attualmente, infatti, i motori di ricerca alternativi come Ecosia, Qwant e DuckDuckGo non sviluppano una propria infrastruttura back-end. L’anno scorso Ecosia è passata a un mix di risultati di ricerca di Google e Bing. La nuova iniziativa vedrà invece la newco costruire il proprio indice di ricerca da zero, raccogliendo i risultati da un mix di motori di ricerca diversi.
E non è un caso che la partnership arrivi proprio mentre il settore è costretto a fare i conti con i prezzi più alti imposti da Microsoft per utilizzare l’Api di Bing Search, che consente agli sviluppatori di accedere all’infrastruttura di ricerca backend del gigante tecnologico.
Un progetto reso possibile (anche) dal Digital Markets Act
“Siamo aziende europee e dobbiamo costruire una tecnologia che garantisca che nessuna decisione di terzi – per esempio la decisione di Microsoft di aumentare i costi per accedere alle sue Api di ricerca – possa mettere a rischio la nostra attività”, ha dichiarato, parlando con la Cnbc, Olivier Abecassis, ceo di Qwant. “Non c’è nulla contro gli Stati Uniti o le aziende statunitensi. Si tratta della sovranità del nostro business e delle nostre aziende”. Abecassis sarà anche l’amministratore delegato della nuova società, che non ha ancora raccolto fondi da investitori esterni.
Ecosia e Qwant affermano che il loro nuovo indice di ricerca sarà “orientato alla privacy”, utilizzando le tecnologie di Qwant che sono state riprogettate nel 2023. Entrambe le società utilizzeranno l’indice di ricerca in prima persona, ma la tecnologia sarà resa disponibile anche ad altri motori di ricerca e aziende tecnologiche indipendenti.
“Questo cambiamento finirà per rendere il mercato più competitivo e più diversificato, grazie alla tecnologia sviluppata dai principali motori di ricerca alternativi europei”, ha commentato Christian Kroll, amministratore delegato di Ecosia, precisando che il progetto è stato reso possibile, in parte, dalle nuove norme sulla concorrenza dell’Unione Europea. Il Digital Markets Act, entrato in vigore all’inizio di quest’anno, impone alle aziende di Big Tech, definite “gatekeeper”, di offrire un accesso equo e ragionevole alle loro piattaforme. Nel caso di Google, la Dma prescrive all’azienda di condividere i dati utili per la formazione di un modello di ricerca.
Gli europei sono “molto dipendenti dagli Stati Uniti per la nostra tecnologia”, ha detto Kroll. L’elezione di Donald Trump a presidente della federazione potrebbe far aumentare le tensioni geopolitiche, ha aggiunto, e questo potrebbe essere un problema per la dipendenza dell’Europa dalla tecnologia statunitense. Kroll ha anche sottolineato il peso dell’interruzione delle forniture energetiche europee seguite alla crisi ucraina, affermando che dovrebbe servire da monito per ciò che può accadere quando un intero continente diventa troppo dipendente da un singolo Paese per una risorsa chiave.