Negli ultimi dieci anni, l’Europa ha adottato una rigida politica di net neutrality con l’obiettivo di garantire un accesso equo e senza discriminazioni a internet. Tuttavia, questa scelta potrebbe aver avuto un effetto boomerang sul settore tecnologico europeo, limitando lo sviluppo di servizi innovativi e di startup che avrebbero potuto beneficiare di un mercato più dinamico e flessibile.
Strand Consult, che da quasi due decenni studia la politica globale della neutralità della rete, ha analizzato lo scenario sulla base di decine di rapporti e note di ricerca, con studi di caso provenienti da tutto il mondo. Recentemente ha analizzato anche la sentenza del Sesto Circuito negli Stati Uniti, una questione avanzata dai fornitori di banda larga contro la Federal Communications Commission (Fcc), oltre a fornire un aggiornamento sullo stato dell’Unione Europea e su come le grandi aziende tecnologiche abbiano usato la politica per ottenere vantaggi regolatori.
Il caso Spotify
Il caso emblematico è quello di Spotify, l’unico colosso europeo a riuscire a imporsi a livello globale nella scena digitale. Paradossalmente, la strategia che ha permesso a Spotify di emergere—partnership con operatori di telecomunicazioni europei per promuovere abbonamenti premium—oggi risulterebbe illegale a causa delle norme sulla neutralità della rete in vigore. Questo tipo di regolamentazione ha messo un freno alla possibilità per le imprese di offrire servizi premium differenziati, ostacolando così l’innovazione e la competitività del settore tecnologico in Europa.
Usa-Europa: due realtà a confronto
Mentre negli Stati Uniti la policy di net neutrality è stata recentemente rigettata, consentendo una maggiore libertà per gli operatori di rete, in Europa le rigide regole continuano a influenzare negativamente il mercato. La decisione della Corte d’Appello degli Stati Uniti per il Sesto Circuito, che ha annullato le regole del Fcc, segna una vittoria per le telco americane e apre la strada a un contesto più favorevole per gli investitori e le nuove tecnologie.
In Europa, invece, il settore tecnologico sembra arrancare, con un numero esiguo di nuove imprese che riescono a emergere nel panorama globale. La presenza di poche aziende di rilievo in ambiti strategici come sistemi operativi, cloud e intelligenza artificiale indica una mancanza di innovazione causata in parte dalle restrizioni regolatorie.
Il futuro delle norme al centro dell’attenzione
Ci si interroga quindi sull’opportunità di mantenere in vigore queste norme o di adottare un approccio più flessibile che possa stimolare gli investimenti e l’innovazione, favorendo così la crescita di un’economia digitale più robusta in Europa. La necessità di rivedere le politiche attuali è resa ancora più urgente dalla crescente competitività di mercati come quello cinese e americano, che continuano a sfornare nuove imprese tecnologiche con un ritmo assai superiore a quello europeo.
La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che le normative sull’equità di accesso impediscono alle telco di sviluppare servizi mirati che possano attrarre maggiori investimenti e migliorare l’esperienza utente. Al contrario, la mancanza di flessibilità nelle politiche europee potrebbe continuare a penalizzare non solo le startup ma anche i consumatori, che potrebbero beneficiare di offerte più personalizzate e competitive.