“Un’occasione per cambiare il passo sulla realizzazione dell’Agenda digitale a livello nazionale ed europeo”. Così definisce il Consiglio europeo del prossimo 24-25 ottobre dedicato ai temi del digitale, Cristiano Radaelli, presidente di Anitec.
Radaelli per la prima volta l’Europa dedica un Consiglio all’Ict. Come legge questa decisione?
Si tratta di un’importante presa di coscienza che il digitale è diventato un’importante leva di crescita e competitività, senza la quale qualsiasi exit strategy dalla crisi risulta fallimentare. Per questo auspico che i ministri Ue possano indicare la direzione giusta da seguire.
A suo avviso l’Italia che istanze può portare a Bruxelles?
Credo che i passi in avanti fatti in questi mesi sull’Agenda possano essere un buon “manifesto” da portare in Europa. Più che i singoli progetti, pur importanti, mi riferisco alla centralità che il digitale ha ritrovato nell’azione del governo Letta. Non è un caso che nel suo discorso al Senato, il premier abbia citato l’Agenda digitale come una delle priorità strategiche a cui l’esecutivo si dedicherà.
Lei evidenzia un cambio di “pensiero strategico”, ma la realtà parla di un Italia indietro sulla banda larga e sulla diffusione dell’Ict come rilevato anche dall’ultimo rapporto Itu.
È innegabile che l’Italia soffra di un gap infrastrutturale importante rispetto al resto d’Europa e quindi che sia indietro rispetto alla realizzazione dell’Agenda digitale. Ma si tratta di un problema che va affrontato in un’ottica europea, se si tiene conto che anche il Vecchio Continente è indietro rispetto ad altre aree geografiche. Ribadisco che il Consiglio può essere una buona occasione per modificare la prospettiva delle politiche relative al digitale.
Cosa frena lo sviluppo europeo dell’Ict?
Prima di tutto il digital divide: Corea, Giappone e Australia hanno varato massicci piani di investimenti in banda larga e ultralarga, dandosi obiettivi di connessione più elevati rispetto a quelli Ue. Ma questo aspetto è figlio di una eccessiva frammentazione normativa che rende difficili gli investimenti a livello comunitario e la circolazione di contenuti digitali e, quindi, la realizzazione del mercato unico digitale. L’Europa ha scelto di far circolare liberamente merci e persone, non ha fatto lo stesso con i prodotti Ict. Questa scelta la stiamo pagando adesso.
La Francia punta a mettere in campo una strategia anti Ott che vincoli le web company alla legislazione europea e soprattutto al regime fiscale del paese dove operano per evitare episodi di “bypass” fiscale. Lei che idea si è fatto?
Non mi piace parlare di strategie anti-Ott. Credo però ch,e anche in questo caso, superare la frammentazione normativa nel settore fiscale disincentiverebbe le aziende a ricorrere a sistemi di “scatole cinesi” e a garantire comunque gli investimenti.
Tornando all’Italia, Francesco Caio ha battezzato l’Agenda “slim”. Tre progetti chiave per accelerare: anagrafe unica, identità digitale e fatturazione elettronica. La convince questa scelta?
Credo che siano progetti realmente in grado di innovare la PA e, a cascata, l’intero sistema Paese. Quindi reputo sensata una scelta di questo tipo. Voglio però sottolineare una scelta ancora più importante ovvero quella sulla razionalizzazione e il consolidamento del data center, architrave di qualunque Agenda digitale si voglia mettere in campo.
Lei avrebbe aggiunto qualche altra iniziativa?
Il fascicolo sanitario elettronico. L’effettiva implementazione del Fse permetterà un significativo miglioramento dei servizi forniti dagli organi sanitari, la riduzione dei costi gestionali e in prospettiva la possibilità ai cittadini e ai medici di avere accesso immediato ai propri dati in qualunque parte del territorio nazionale. Ma la di là dei singoli progetti l’importante è che l’Italia si doti finalmente di una visione strategica sull’economia digitale che comprenda, sì, singoli progetti ma anche un “pensiero” di ove il paese deve andare per crescere e creare occupazione.