Con Donald Trump formalmente a capo del governo americano, arrivano anche le nomine ufficiali agli enti federali, tra cui il regolatore delle comunicazioni Fcc (Federal communications commission). A capo dell’agenzia sale Brendan Carr, veterano della Fcc e fautore della deregulation nel settore delle Tlc.
“L’Fcc ha un lavoro importante da svolgere su temi che vanno dalla regolamentazione della tecnologia e dei media alla valorizzazione delle opportunità di crescita e occupazione grazie all’azione dell’agenzia su spettro, infrastruttura e economia della spazio“, ha scritto Carr su X. “Sosterremo gli interessi dell’America sulla sicurezza nazionale e proteggeremo i consumatori”.
In vista c’è, dunque, non solo un intervento più leggero sul mercato delle telecomunicazioni, ma anche la volontà di vigilare più severamente sulle grandi aziende di internet, come Google e Facebook.
Brendan Carr a capo della Fcc
Carr è sempre stato chiaro nel portare avanti politiche che alleggeriscono l’impianto normativo per gli operatori della banda larga e ha salutato con favore la sentenza della Corte d’Appello del Sesto Circuito che ha bocciato ogni tentativo della Fcc a maggioranza Democratica di ripristinare la neutralità della rete e classificare i fornitori broadand bcome utility in base al Titolo II della legge sulle comunicazioni.
Tuttavia, come osservano gli analisti Usa, non classificare le telco come carrier del Titolo II fa sì che la Fcc ora abbia scarsa autorità sui fornitori di banda larga, mentre gli Stati sono liberi di regolare queste aziende come ritengono opportuno. Infatti, è appena entrata in vigore a New York una legge che regola il prezzo della banda larga per le fasce della popolazione a basso reddito, aprendo la strada ad altri Stati per adottare misure simili.
Carr potrebbe proporre di conferire alla Fcc l’autorità di regolare la banda larga in modo da bloccare azioni come quella di New York: far ricadere i fornitori nel Titolo I potrebbe permettere all’agenzia di decidere in merito al servizio e anticipare o bloccare eventuali azioni a livello statale. Sarebbe, in pratica, una maggiore supervisione federale che evita una eccessiva regolamentazione locale a scapito delle politiche commerciali degli operatori Tlc.
Carr, tra l’altro, è un convinto sostenitore della necessità di ridurre gli oneri burocratici per le telco legati ai piani sulla banda larga e facilitare il processo con cui si ottengono i permessi.
Deregulation in vista per le telco?
I programmi federali di tecnologia e telecomunicazioni “trarrebbero vantaggio da una supervisione più forte e da un nuovo sguardo volto all’eliminazione di regolamenti obsoleti che stanno facendo più male che bene“, ha scritto il presidente della Fcc nel capitolo a lui affidato all’interno di Project 2025, il programma politico conservatore redatto dai sostenitori di Trump della Heritage Foundation e proposto nel 2024. Carr raccomanda di “correggere la direzione della Fcc in fatto di regolamentazione e incoraggiare la concorrenza per migliorare la connettività”.
“La storia della Fcc sembra riflettere la concezione secondo cui il governo federale debba regolare pesantemente anziché affidarsi alla concorrenza e alle forze del mercato per produrre gli esiti migliori”, ha scritto Carr. Ovviamente l’intenzione è di abbandonare l’approccio normativo del passato, anche in considerazione dei cambiamenti tecnologici nel settore della connettività e l’arrivo di nuovi entranti come le società dei satelliti. “Queste condizioni di mercato in rapida evoluzione consigliano l’eliminazione di molti dei regolamenti severi adottati in un’epoca in cui ogni tecnologia operava in un silo. Pensiamo a molte delle norme della Fcc sulla proprietà dei media, che possono avere l’effetto di limitare gli investimenti e la concorrenza”. Secondo Carr, “la Fcc dovrebbe impegnarsi in una seria revisione delle sue normative e adottare misure per revocare quelle eccessive o obsolete”.
La Commissione dovrebbe concentrare i propri sforzi sulla creazione di un mercato che “promuove l’innovazione e la concorrenza tra un’ampia gamma di attori, compresi quelli via cavo, a banda larga e provider di Internet via satellite”.
Faro acceso sulle big tech, sul tavolo il fair share
Carr prende il posto della presidente Democratica della Fcc Jessica Rosenworcel, mentre la Repubblicana Olivia Trusty dovrebbe occupare il quinto seggio dell’agenzia (presidente incluso), che assicura la maggioranza Repubblicana nella commissione.
Ma, secondo gli osservatori Usa, la maggior parte delle iniziative che Carr vorrà portare avanti non richiede nemmeno una maggioranza nella Fcc. Ad esempio, Carr può porre maggiori controlli sulle big tech e le emittenti di notizie, smettere di lavorare sulle politiche con cui non è d’accordo, come i regolamenti sulla fatturazione di massa e sui data cap, e pesare sull’attuazione del programma Broadband equity, access and deployment (Bead).
Sulle big tech, in particolare, Carr ha scritto che “la Fcc ha un ruolo importante da svolgere nell’affrontare la questione della minaccia alla libertà individuale rappresentata dalle aziende che abusano della posizione dominante nel mercato”. Secondo Carr ciò è esemplificato dai tentativi delle big tech di indirizzare l’opinione pubblica sui temi politici.
Per questo il neo-nominato presidente della Fcc vorrebbe rivedere le norme che oggi garantiscono alle big tech l’immunità su eventuali conseguenze illecite dei contenuti pubblicati online e dice di voler imporre regole di trasparenza ai colossi del web (nel suo capitolo del Project 2025 nomina Google, Facebook e YouTube).
Carr ha anche messo nero su bianco la proposta di far pagare alle big tech una quota del costo delle reti Tlc, il cosiddetto fair share. Il numero uno della Fcc cita il programma federale da 9 miliardi di dollari “Universal service fund”, che finanzia la connettività rurale e l’accesso a Internet a prezzi calmierati. Secondo Carr, le big tech, che traggono enormi vantaggi di business dalla diffusione della banda larga, dovrebbero contribuire finanziariamente al programma.
Nel documento programmatico Carr indica anche che il governo federale dovrà anche occuparsi dei rischi di sicurezza posti dall’applicazione cinese TikTok, ma, come noto, il Presidente Trump ha fatto un dietro-front sulla questione e preso direttamente in mano le sorti della piattaforma dei mini-video, per ora graziandola dall’oscuramento con un perdono temporaneo di 75 giorni.