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Tlc, i big in allerta sulle risorse: “Serve una strategia post Pnrr”



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Le aziende italiane delineano le sfide del settore e chiedono alle istituzioni l’impegno per una politica industriale di lungo periodo. Ma anche meno regole e voucher per il take up. Incognita Starlink: cruciale garantire pari opportunità sul mercato

Pubblicato il 18 mar 2025



broadband, banda ultralarga, tlc, connettività

I top manager degli operatori di telecomunicazioni italiani sono concordi: nonostante l’esecuzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza sia a buon punto, per garantire che l’infrastrutturazione per la connettività a banda ultralarga è necessario cominciare a pensare all’immediato futuro, quando i fondi europei saranno finiti.

Risulta evidente che le risorse private non basteranno a sostenere l’ammodernamento della rete, e il settore pubblico dovrà intervenire, oltre che con una politica industriale ben definita, anche sul fronte della semplificazione normativa, specie a livello locale.

Questo e molti altri temi sono affrontati ieri a Roma, presso la sede dell’università Luiss, in occasione dell’evento di presentazione del libro di Fondazione Astrid Telecomunicazioni: una politica industriale per la doppia transizione” a cura di Franco Bassanini e Antonio Perrucci, edito da “Il Mulino”.

Pensare al post Pnrr: serve una semplificazione burocratica

“Per quanto riguarda il Piano Italia 5G del Pnrr siamo in Rti con Tim e Vodafone con cui ci siamo aggiudicati il bando, che prevede di portare le nostre infrastrutture, equipaggiate con il 5G, in 1.385 aree in digital divide entro il 30 giugno 2026. Parliamo di circa il 25% delle infrastrutture che, come Inwit, realizziamo annualmente. Abbiamo però un tema di ostacoli e dinieghi di carattere permissistico e burocratico ben superiore alla media. Parliamo del 45% dei permessi presentati, con tempi medi di risoluzione di oltre sei mesi nei casi che non diventano ko totale”, ha spiegato Michelangelo Suigo, direttore delle relazioni esterne di Inwit. “Serve un cambio di passo perché, pur avendo a livello centrale norme che spingono verso una fortissima semplificazione, a livello locale queste sono troppo spesso disattese, con regolamenti comunali anacronistici che devono essere aggiornati”.

Massimo Sarmi, presidente di Fibercop, ha rimarcato che “per quanto riguarda il Pnrr, la situazione è chiara: pur con alcune difficoltà iniziali, siamo in linea con il percorso stabilito e arriveremo al 2026 rispettando i target prefissati. Tuttavia, la vera questione è un’altra: le infrastrutture digitali possono essere sviluppate solo con investimenti privati o richiedono un supporto pubblico? Da anni, in Europa vengono avviati programmi di sviluppo delle reti, come il Digital Compass, ma nel corso della loro attuazione emerge spesso che le risorse disponibili non sono sufficienti. Se lasciamo agire solo il mercato, il sistema rischia di non reggere”.

Per il settore delle Tlc servono “politiche pubbliche” anche in vista del fatto che l’effetto Pnrr sugli investimenti finirà. Lo ha sostenuto anche Giuseppe Gola, amministratore delegato di Open Fiber. “È chiaro che adesso stiamo ancora con la sbornia del Pnrr, ma c’è un tempo breve, un anno e quattro mesi, e poi finirà. Bisogna cominciare a pensare adesso alle nuove politiche e bisogna lavorare sulle nuove politiche sia dal punto di vista dell’offerta sia dal punto di vista della domanda”. Su quest’ultimo fronte, “in Italia siamo al 27% di take-up, la media europea è al 54%, Francia e Spagna stanno oltre il 70%, oltre l’80%. C’è assolutamente la necessità di un intervento”. Tutto questo, sostiene Gola, va fa fatto “con alcuni supporti pubblici, per esempio in passato sono stati pensati dei voucher per il cliente che passa dal rame alla fibra ma questo cliente oggi paga la stessa cifra sia sul rame sia sulla fibra, quindi il cliente non ha bisogno di un voucher. Chi ha bisogno di un voucher sono gli operatori che devono sostenere un costo per il cliente che migra sulla fibra”.

Le sfide da affrontare secondo le telco italiane

Marco Pennarola, capo del marketing di Fastweb, intervenuto per le newco nata dalla fusione di Fastweb e Vodafone, ha dichiarato: “In un ecosistema complesso come quello delle telco in Italia, il percorso intrapreso da Fastweb+Vodafone si basa su una strategia industriale e infrastrutturale ben precisa. Abbiamo dichiarato 600 milioni di sinergie a disposizione del mercato per attivare un processo virtuoso con benefici per tutto il sistema. Mettiamo insieme asset complementari che generano un attore più solido dove il ‘+’ di Fastweb +Vodafone rappresenta proprio la generazione di valore che stiamo creando: nuove opportunità, maggiore qualità, innovazione e sicurezza”.

Ma c’è anche chi ha una visione meno ottimistica, soprattutto in relazione allo scenario futuro. “Se non saremo messi in condizioni di investire, il manifatturiero tra dieci anni sarà in difficoltà”, ha avvertito Gianluca Corti, co-ceo di WindTre. “Noi stiamo per lanciare il 5G stand alone, servono capitali, serve liberare risorse, il resto del mondo sta correndo, fuori dall’Europa vanno molto più veloci, c’è un incendio, bisogna spegnerlo urgentemente, altrimenti ne risentirà tutto il Paese“. Corti ha poi acceso l’attenzione sulle frequenze, dopo che la maxi gara per il 5G ha comportato un esborso monstre in passato. “Il ragionamento sulle frequenze è importante, il 2029 non è lontano”.
A questo si aggiunge la questione energetica. “Siamo energivori, dobbiamo essere considerati energivori”, ha detto Benedetto Levi, numero uno di iliad Italia. Poi, ha aggiunto il manager, “c’è il tema del take-up della fibra. Oggi il take-up è ancora infimo rispetto alla penetrazione, cioè rispetto al deployment, alla copertura dell’Ftth. Quindi se cinque o più anni fa c’era un tema di copertura, oggi c’è un tema di take-up. Si può dibattere se sia giusto o sbagliato avere due operatori Ftth, se sia giusto o sbagliato cercare di accelerare la migrazione dall’Fttc all’Ftth quando l’Fttc in Italia è performante, però ormai siamo arrivati qui, credo che siamo tutti d’accordo sul fatto che vogliamo più Ftth per le imprese in Italia”. C’è quindi il tema di stimolare “questo take-up e quindi a migliorare il ritorno sugli investimenti”, ha concluso Levi.

“Non si ha timore di Musk e della concorrenza del satellitare, ma a patto che si competa alle stesse regole”, ha detto Pietro Labriola, amministratore delegato di Tim, rispondendo a una domanda nel corso dell’evento. “Non abbiamo paura di nessuno purché ci venga permesso di competere alla stessa maniera. Già noi abbiamo aziende con conti economici e bilanci non paragonabili con gli Over the top che stanno tutti guardacaso oltreoceano. Perché a me viene applicata una normativa differente?” Occorre, secondo Labriola, “uscire dalla demagogia e cominciare a parlare delle cose pratiche, anche perché “nel dopo Trump le regole devono andare a un’altra velocità. C’è qualcuno che vuol parlare dopo Trump di Bretton Woods e degli accordi Bretton Woods? È tutto saltato. Prende tutto un’altra velocità. E quindi anche la definizione delle regole deve prendere un’altra velocità”.

D’altra parte, l’Italia “non è un Paese che si può permettere due reti in fibra ottica sovrapposte e cinque reti 5G, fate due calcoli“, ha notato Labriola. “Da noi l’Arpu è 8-9 euro sul mobile, in Germania è in 30 euro. Se avessi tre volte l’arpu che ho oggi avrei una capitalizzazione in Borsa pari a quattro volte” l’attuale.

“È possibile sostenere cinque reti mobili? No, la domanda è retorica, dico che nemmeno quattro sono sostenibili, forse tre” come in Uk. Lo ha rimarcato anche Federico Protto, amministratore delegato di Cellnex Italia. Intanto, ha chiosato Protto, “il contributo che un operatore di torri può dare è promuovere e lavorare con gli operatori per lo sharing, questo può permettere di liberare risorse nei servizi, e si migliora pure la qualità”.

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