NUOVA ECONOMIA

Magrini: “Start up, più vision meno marketing”

Il venture capitalist: “Senza una strategia precisa non si va da nessuna parte. Basta coi luna park per start up. È ora di investire soldi veri nei fondi di venture capital”

Pubblicato il 17 Ott 2013

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“Invece di fare nuove start up competition le imprese italiane dovrebbero cominciare a investire nei fondi di venture capital”. Massimiliano Magrini parla pro domo sua, certo, visto che è un ex manager diventato venture capitalist, ma fotografa una situazione: in Italia molti parlano di start up, tanti fanno innovazione, ma pochi investono soldi veri, soprattutto perché manca la vision.
Magrini ha “fondato” Google in Italia, nel lontano 2002. Nel 2009 è diventato imprenditore con Annapurna che, fondendosi con Jupiter Ventures, ha dato vita a United Ventures, fondo che ha appena chiuso un secondo round di raccolta che ha portato la dotazione a circa 50 milioni. Ne sono stati investiti meno del 20%, ci sono quindi ancora più di 40 milioni per irrobustire il portafoglio che già contiene MoneyFarm, 20Sign, HomeLtd, LoveTheSign (il precedente fondo aveva “sostenuto” 9 start up tra cui MutuiOnLine e Paperlit).
Magrini conosce il mercato italiano e conosce le logiche di Google&co. Non è sorpreso quindi dalla campagna acquisti in corso negli Usa e spiega perché il mercato italiano è diverso, almeno per ora. Che cosa sta succedendo?
Il digitale è un territorio darwiniano per eccellenza: bisogna muoversi rapidamente per mantenere il vantaggio competitivo altrimenti si fa presto a restare prima indietro e poi fuori. Devi essere in grado di affrontare i momenti di disruption, ma anche in qualche modo crearli. Vale per qualsiasi industria, ma per il digitale in maniera più esasperata.
Perché?
Il digitale rimescola le carte in tutti i business. Le aziende si trovano davanti a un bivio: o si arroccano o cominciano a capire i vantaggi. Hanno però bisogno di una visione strategica. Devono capire quel che sta accadendo e dove vogliono andare. Le faccio un esempio: nel momento in cui Telecom Italia dovesse separare la rete si troverà a competere con chi produce servizi, probabilmente con tutti gli Ott. Questa prospettiva richiede una visione precisa.
Ma a fare shopping di start up sono proprio gli Ott.
Certo, può apparire singolare. Nonostante abbiano competenze tecnologiche straordinarie, si rendono però conto che l’innovazione avviene in altri contesti, più piccoli a volte periferici. Ma pensano che una volta inserita nel gruppo può moltiplicare i suoi effetti e avere impatto significativo sul business.
Un esempio?
Youtube, comprata per un miliardo di dollari: se non fosse entrata dentro Google, non sarebbe diventata quello che è oggi, piattaforma mondiale e grande player nel mercato della pubblicità video. All’origine di questo trionfo c’è l’intuizione del founder ma combinata con la potenza di Google.
Google&co. però hanno anche ingenti capitali da investire.
Certo, ma quel che è più importante è che fanno una pianificazione strategica e decidono dove mettere i soldi. Anni fa hanno “visto” che i video sarebbero stati il principale catalizzatore degli investimenti pubblicitari e lì hanno puntato le risorse. Se Google non avesse acquisito Youtube, inoltre, non avrebbe avuto penetrazione in alcune fasce demografiche importanti. Ma a volte le acquisizioni seguono altre logiche.
Quali?
Comprare prima che quella start up diventi una minaccia. Google non ha avuto sufficiente attenzione per Facebook che ora è un concorrente preoccupante. Comunque quel che conta è avere una vision a 3/5 anni, capire dove stanno le opportunità e scommettere.
Perché in Italia non parte il mercato delle acquisizioni?
La maggioranza delle imprese non ha una visione strategica e quindi il mercato non parte.
Non dipende dal fatto che mancano i soldi?
Le due carenze sono collegate. Ci sono pochi soldi, è vero, ma non si sa neanche cosa comprare e perché. Quindi non destino i capitali per l’innovazione e non sono in grado di cogliere le opportunità. È la situazione prevalente in Italia: non so o non voglio definire il mio perimetro strategico, quindi non riesco o non voglio disinvestire da una parte per investire su un’altra. E così stanno tutti fermi.
Ma non c’è il venture capital per gli investimenti a rischio?
Sì, ma cosa fanno i fondi? Vedono un’opportunità di innovazione e investono pensando di avere un ritorno in un periodo fra 5 e 10 anni. O portando la società in Borsa o vendendone delle quote. Ma i capitali per cogliere le opportunità arrivano dalla raccolta sul mercato. Se gli imprenditori (e i manager) si comportassero come quelli stranieri, se investissero in innovazione secondo una vision, sarebbe un elemento di dinamicità per tutto il mercato, dalle start up ai fondi di venture capital. Ci sono tante imprese che hanno le carte in regola per potercela fare e tante start up interessanti. Ma siamo ancora agli inizi e dobbiamo colmare un ritardo nella dimensione dei fondi e nella consapevolezza. Più visione strategica e meno marketing. Più scelte e meno luna park per le start up.

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