L’Uncem, l’Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani esprime – è un eufemismo – stupore per l’eliminazione di un articolo specificamente dedicato ai servizi di comunicazione dal cosiddetto Ddl montagna, licenziato dal consiglio dei ministri a gennaio 2024 e prossimo all’approvazione finale in Parlamento.
La disposizione rimossa durante il passaggio in Senato del provvedimento prevedeva che, in caso di lavori alle infrastrutture stradali e ferroviarie, fosse compito delle imprese portare il segnale nei comuni montani non coperti in assenza di analoghi interventi sostenuti da finanziamenti pubblici.
Proprio questo punto è stato dirimente: le aziende potenzialmente coinvolte dal Ddl hanno interpretato l’articolo come un obbligo di infrastrutturazione in assenza di fondi pubblici e per questo hanno fatto pressione sulla politica per eliminare l’articolo considerato controverso.
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L’appello del presidente Uncem Bussone
“Ci sono lobby che purtroppo agiscono contro i territori montani. E che hanno indotto la Commissione parlamentare che ha esaminato qualche giorno fa il Ddl montagna a eliminare l’articolo 10, ‘Servizi di comunicazione’, abolendo la norma inserita dal governo nel testo del Ddl varato dal Senato”, ha detto ieri il presidente Uncem Marco Bussone, intervenendo a Roma all’evento “Telecommunication of the future”.
Bussone ha ricordato che l’articolo in questione stabiliva che “le concessioni della rete stradale e ferroviaria nazionali prevedono, senza maggiori o nuovi oneri per la finanza pubblica, interventi sulle infrastrutture di rispettiva competenza atti a garantire la continuità dei servizi di telefonia mobile e delle connessioni digitali… in assenza di analoghi interventi già oggetto di finanziamento pubblico. È stupefacente ci sia chi ha chiesto di rimuovere l’articolo”, ha rimarcato il presidente Uncem. “Sappiamo bene quanto devastante e in crescita sia il divario digitale, solo in parte contrastato con gli interventi di Piano Italia 1 Giga e Piano Italia 5G. Le aziende hanno interpretato l’articolo, che hanno chiesto di sopprimere, come un obbligo di copertura laddove non ci sono fondi pubblici. In realtà, si tratta, si trattava, di un principio politico e di buon senso, che impegna(va) gli operatori a intervenire per ottimizzare il lavoro in caso di altri interventi alle infrastrutture di rete, abbattendo altresì i costi ed riducendo il digital divide”, ha aggiunto Bussone. “Mi auguro che in aula alla Camera, trasversalmente, tutti i gruppi con il Governo, possano intervenire per ripristinare l’articolo”.
Le finalità del Ddl Montagna
Il Disegno di Legge “Disposizioni per il riconoscimento e la promozione delle zone montane”, comunemente conosciuto come Ddl Montagna, costituisce una revisione della normativa del 1994, che aveva l’obiettivo, in linea con l’articolo 119 della Costituzione, di ridurre le disuguaglianze derivanti dalle condizioni di svantaggio economico e sociale delle aree montane, che contano 3.524 comuni totalmente montani e 652 comuni parzialmente montani.
In particolare, il testo punta a fissare tramite un Dpcm i criteri per la classificazione dei comuni montani e, attraverso le risorse già disponibili e il Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane (articolo 4), – all’interno del quadro ideato con la Strategia nazionale per la montagna italiana – finanziare interventi per lo sviluppo socio-economico delle aree montane, riconosciuto come “obiettivo di interesse nazionale”. Tra questi, per l’appunto, anche quelli di infrastrutturazione sul piano delle telecomunicazioni.
I criteri scelti per la classificazione delle aree di montagna sono due: il parametro altimetrico e la pendenza, senza affiancargliene altri di livello geomorfologico e socioeconomico. Una distinzione che, secondo Uncem, penalizza i comuni non classificati come montani, che presentano le stesse caratteristiche morfologiche e demografiche di quelli montani rischiando inoltre di diminuire il numero di aree riconosciute rispetto ad oggi.
L’Uncem ha fin dall’inizio sollevato dubbi anche sulle risorse messe a disposizione dal Ddl, giudicate insufficienti: a fronte della richiesta di un miliardo di euro all’anno, il dispositivo ne prevede soltanto 200 milioni.