PUNTI DI VISTA

Tre mosse per difendere la e-identity

Per difendere la nostra identità elettronica servono tre ingredienti: definire una lingua franca per spostare i contenuti da una piattaforma all’altra, adottare un sistema di certificazione user centric e avviare tavoli di discussione che rappresentino appieno gli interessi dei consumatori

Pubblicato il 19 Ott 2013

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Siamo quello che facciamo, quello che diciamo, quello che leggiamo. Dunque siamo sempre più digitali. Ogni nuova generazione che si affaccia alla realtà spinge verso il basso l’asticella dell’età minima di accesso, come può ben testimoniare ogni genitore che, come me, ha dovuto affrontare le pressanti richieste di una figlia quattordincenne che già da un paio d’anni mi chiede perché tutte le sue amiche sono su Facebook e lei no.

Il problema è stato portato in primo piano dall’esplosione del successo dei Social Network ma sobbolliva già da un pezzo: quando io scrivo una recensione di un libro su Amazon, a chi appartiene? Se scatto una bella foto di un tramonto e la pubblico su Facebook, può venire utilizzata da altri? Perché non abbiamo un sistema vagamente usabile per ricordarci le centinaia di user id e password senza le quali siamo tagliati fuori dai nostri soldi, dalla nostra banca, dalla nostra cartella sanitaria, dai voti scolastici dei nostri figli? Perché ogni volta che Facebook mi informa di aver modificato le sue Condizioni Generali le accetto senza nemmeno leggerle?

Nessuna di queste domande è particolarmente nuova ma per nessuna di queste domande c’è una risposta davvero soddisfacente; eppure io penso che la soluzione, sia relativamente semplice e che richieda tre ingredienti:

– un ingrediente tecnologico, che in estrema sintesi può essere riassunto nella necessità di definire un linguaggio simile all’Xml che offra una lingua franca che mi consenta di “spostare” gli elementi costitutivi del mio Digital Self da una piattaforma all’altra – solo la garanzia di una portabilità e, dunque, di una concorrenza reale consentirà di porre un calmiere a Condizioni Generali del tutto unilateriali:

– un ingrediente architetturale, con l’adozione di un sistema di certificazione dell’identità “User Centric” in loco dell’attuale sistema “Usage Centric” il che, da solo, renderebbe l’intero processo ordini di grandezza più sicuro;

– un ingrediente comunicativo, con l’avvio di tavoli di discussione pubblica ove gli interessi dei consumatori (noi) siano pienamente rappresentati e discussi, in modo da spingere i legislatori

Sarebbe ingenuo aspettarsi che il mercato risolva questo problema da solo, avendo ormai creato fortissime leadership di fatto che non hanno il benché minimo interesse a rilasciare neppure in minima parte il controllo ferreo che hanno su questi dati, dal cui sfruttamento, è bene ricordarlo, dipendono interamente le loro sorti economiche. D’altronde una situazione simile si era creata a suo tempo con l’avvento della telefonia mobile, inizialmente NON accompagnata dalla portabilità.

Chi aveva un contratto con il Gestore X di fatto era obbligato a rimanere legato ad esso perché cambiando avrebbe perso il contatto con tutti coloro a cui aveva dato il proprio numero. Sono inoltre quotidiani i casi nei quali ci dobbiamo rendere conto che ciò di cui siamo autori firmandolo e, dunque, assumendocene la piena responsabilità, è in realtà sottoposto a un vaglio “di merito” riferito a Condizioni Generali che, sicuramente, abbiamo accettato spuntando una qualche casella e che vengono interpretate non già da un magistrato competente. Ma da un qualche addetto che – il dubbio è lecito – forse neppure comprende fino in fondo le sfumature di cosa stiamo dicendo.

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