“Digital compact”: non possiamo che concordare con lo slogan lanciato dal presidente di Confindustria Digitale Stefano Parisi, se non altro perché la stessa espressione l’avevamo usata noi stessi in un editoriale la scorsa primavera.
Parisi (pensando ai gravi ritardi italiani) ha auspicato che la realizzazione degli obiettivi dell’Europa digitale divengano un must per tutti i Paesi dell’Unione, così come lo sono gli obiettivi di equilibrio economico.
Un modo per dire che non solo l’Europa 2020 deve realizzarsi in tutta l’Ue, ma anche per sostenere che senza la rivoluzione digitale gli equilibri finanziari che l’Europa si è data a Maastricht non sono raggiungibili né sostenibili nel tempo. Senza digitale non c’è crescita e dunque nemmeno conti in ordine.
Le conclusioni e le mediazioni del consiglio Ue di Bruxelles mostrano che di strada ce ne è ancora da fare verso il mercato unico digitale. È però già un passo avanti che per la prima volta se ne sia parlato in una sede così significativa.
I governanti europei sembrano cominciare a capire che è sul terreno dello sviluppo delle tecnologie e dell’economia digitale che si gioca la competitività del settore produttivo e dei servizi dell’Europa nel mondo globale. Anche se le divisioni che li attraversano e la “distrazione” a causa del Datagate hanno impedito di prendere impegni più precisi e concreti come tutti noi auspicavamo. Tuttavia, sul tavolo c’è qualcosa di ancora più importante: la capacità del vecchio continente di giocare un ruolo di peso in nuovo mondo in cui gli Stati Uniti (per potenza tecnologica) e la Cina (per peso specifico) rischiano di essere gli unici player di rilievo.
Digital compact è formula che vale anche per l’Italia. I ritardi sono ultra noti e i problemi anche: c’è bisogno di una infrastruttura digitale e di servizi digitali. Non c’è alternativa: l’uovo e la gallina stavolta arrivano insieme. E ognuno deve fare la sua parte: lo Stato e le imprese. Il primo utilizzando il grimaldello digitale per scardinare una macchina amministrativa non solo inadeguata ai tempi, ma spesso dannosa. La spending review può essere un’occasione formidabile, non un handicap: investire nel digitale (in maniera intelligente) significa risparmiare e dare servizi migliori. Per le imprese, l’occasione digitale è quella di relazionarsi col mondo. Letta ha detto di voler assumere il problema in prima persona. Finalmente. Ora, dopo le parole, toccano i fatti