“Non esistono al momento in Italia corsi di laurea per formare figure professionali come il Chief Digital officer (Cdo): piuttosto le sue competenze sono ‘spalmate’ nelle varie attività didattiche. Invece bisognerebbe che il mondo accademico, ma anche quello delle imprese, avesse una vision più ampia dell’attuale e riuscisse a guardare oltre, a cosa accadrà tra 5 o 10 anni”: lo sostiene Daniele Salvaggio, Communication Manager e Owner di Imprese di Talento, progetto di consulenza formativa alle imprese basato sulla comunicazione e sulla valorizzazione delle persone all’interno delle aziende.
Innanzitutto Salvaggio sottolinea il ritardo delle aziende italiane nelle strategie digitali e cita i dati di una ricerca Ferpi (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) curata da Silvia Zanatta dell’Università di Padova: su un campione di 150 responsabili della comunicazione in Italia, il 77,8% ha dichiarato di realizzare i propri piani comunicativi tenendo conto della spinta innovativa dei social media, ma il 64,7% ha ammesso di non utilizzare questi strumenti per monitorare, ascoltare e valutare la percezione che il personale stesso ha dell’azienda. E, per parlarsi tra dipendenti all’interno dell’azienda, la modalità più usata per l’84,2% resta ancora l’email.
“C’è la consapevolezza – spiega Salvaggio – che oggi gli strumenti digitali sono importanti, ma ancora molta confusione e poca strategia sulle potenzialità che possono generare sia internamente che esternamente. Quelli che usano i digital tools verso l’esterno, ovvero nel rapporto con il cliente, lo fanno ancora con un approccio meramente commerciale, ma non c’è piena consapevolezza di quanto lo strumento digitale possa influire nei meccanismi strategici aziendali”.
Da qui la necessità di una figura come il Cdo (Chief Digital Officer), un professionista che attraversi idealmente tutti i comparti aziendali e conosca alla perfezione i meccanismi-base dell’innovazione digitale. Portare in azienda una figura di questo tipo significa “far parlare” tra loro settori finora considerati distinti e in definitiva incentivare i rapporti. Ma come convincere l’imprenditoria italiana della sua necessità? E soprattutto come contribuire a creare e potenziare questo tipo di professionalità?
“Intanto va detto – dice Salvaggio – che settembre 2013 rappresenta una svolta per il mondo della scuola e della formazione in Italia: il governo ha infatti approvato un decreto legge che prevede un investimento di 15 milioni di euro per la connettività wireless nelle scuole secondarie e promosso percorsi di formazione per i docenti in materia di utilizzo e sviluppo di strumenti e contenuti digitali. Si tratta finalmente di una decisione presa nell’ottica dello sviluppo”.
Inoltre l’esperto sottolinea che, per essere veramente efficace, la formazione non deve essere di routine, ma qualcosa di pensato e tagliato su misura per ogni realtà imprenditoriale.
“Da sempre in Italia – afferma – la formazione è spesso associata a fondi di contributo, per esempio fondi regionali o europei. Va benissimo, l’importante è che sia effettivamente uno strumento per far crescere le persone. In questo il mondo anglosassone è avanti anni luce rispetto a noi. In realtà non deve essere solo una formazione tecnica, ma di idee”.
E formazione di idee significa anche puntare sulle persone e sul loro valore intrinseco. “Occorre far capire alle imprese – conclude Salvaggio – che i loro dipendenti possono essere utili e polivalenti. Ciascuno può fare cose diverse facendo uscir fuori i propri talenti senza fossilizzarsi in un’unica attività. In questo caso la formazione diventa fondamentale”.