LA RICERCA

Ibm: marketing digitale, in Italia solo teoria

Secondo un’analisi dell’Ibm Institute for Business Value, le aziende nostrane pur riconoscendo il valore dell’Ict per far crescere il business utilizzano ancora poco soluzioni innovative

Pubblicato il 04 Nov 2013

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Tra il dire e il fare c’è di mezzo la tecnologia. In un momento storico ed economico in cui la parola d’ordine è sopravvivenza, anche nei contesti dove la collaborazione con partner e clienti in chiave digitale si sta facendo imperativa, investire negli strumenti che aiutano a diminuire il gap non è giudicato ancora prioritario. Per lo meno in Italia. Dove però la sensazione di aver costruito una solida strategia fisico-digitale è più forte che in altri Paesi.

A dirlo sono gli stessi top manager – 171 per l’esattezza – delle imprese tricolori, che si sono confessati in un ciclo di interviste face-to-face condotte dall’Ibm Institute for Business Value (la costola di Big Blue che si occupa di ricerche e analisi per potenziare le attività di consulenza). L’inchiesta è parte di un’indagine più estesa, realizzata a livello globale, che ha coinvolto 4 mila colletti bianchi tra ceo, cfo, cio e responsabili marketing e risorse umane di organizzazioni pubbliche e private attive in 16 settori produttivi. I trend principali della survey? I dati presentati oggi a Milano estrapolati dallo studio (che non a caso è stato battezzato ‘Customer-activated enterprise’) parlano chiaro: “Rispetto ai loro colleghi internazionali, i manager italiani attribuiscono alla tecnologia un livello di impatto inferiore sulle aziende in cui lavorano”, ha spiegato Marco Fregonese, Innovation & Growth, Global Business Services, Ibm Italia”. Inoltre vedono il ricorso a partnership esterne come un elemento di minor rilevanza e comunque finalizzato alla riduzione dei costi, più che alla creazione di valore. Sono infine meno orientati a modelli organizzativi aperti”.

Quando si parla di influenza della customer base sulla pianificazione delle attività aziendali, i leader italiani sostengono di lavorare attualmente sull’eliminazione delle barriere interne ed esterne all’organizzazione. L’obiettivo è incoraggiare il contributo dei clienti non soltanto nelle azioni tradizionali, ma anche in aree più sensibili, come per esempio le politiche sociali e ambientali, arrivando inglobarlo nella strategia di business stessa. Solo che ancor più dell’adozione degli strumenti digitali, è considerato prioritario il coinvolgimento e l’attivazione delle risorse umane interne.

Il secondo paradosso è rappresentato dal fatto che mentre per il 61% dei dirigenti del Belpaese il cliente ha grande influenza sull’organizzazione, soltanto il 35% lo coinvolge nelle attività di business. Il che, suggerisce lo studio Ibm, dipende dalla scarsa conoscenza del mercato (se a livello mondiale meno della metà dei C-level dichiara di conoscere bene i propri clienti, in Italia solo il 31% può dire altrettanto), un gap che nelle intenzioni degli intervistati deve essere colmato nel giro dei prossimi tre-cinque anni. Una strada che parrebbe obbligata. L’indagine mette infatti in evidenza una relazione diretta tra la comprensione del cliente e il successo dell’impresa: il numero di aziende con performance superiori alla media che dicono di avere una comprensione elevata del cliente supera del 62% il numero di quelle meno performanti.

Ma non tutti i dati vengono per nuocere. Come detto, i manager italiani si sentono molto confidenti nella capacità che hanno le imprese che dirigono di costruire strategie a cavallo di marketing fisico e digitale. Ben il 45% del campione tricolore dichiara infatti di saper gestire l’integrazione tra strumenti tradizionali e 2.0, mentre i colleghi internazionali che affermano di avere una limitata strategia fisico-digitale o di non averla affatto sono addirittura i due terzi degli intervistati.

Un disagio messo in evidenza anche dalle risposte che ha fornito Watson, il sistema cognitivo di Ibm, interpellato su circa 10 mila frasi estratte dalle interviste, dalle quali emerge che sia i manager italiani che quelli stranieri non hanno una strategia chiara e coesa per le attività sui social media. Mentre lo spauracchio più grande per i nostri connazionali consiste nella difficoltà di misurare il Roi sulle attività digitali. Paradossalmente, un problema che potrebbe essere risolto ancora una volta grazie all’IT. Avete mai sentito parlare di Business analytics?

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