Le dichiarazioni sull’Agenda Digitale fatte dal premier Letta prima del Consiglio Europeo (dai risultati purtroppo deludenti) al Forum di Confindustria Digitale e poi al Parlamento hanno suscitato commenti positivi, anche perché nel riconoscimento dei ritardi italiani ha evidenziato temi, di solito poco trattati, come l’alfabetizzazione digitale. Ma in politica contano i fatti. E i fatti non sono positivi. Solo per ricordarne alcuni, di vario genere, ma che sono parte dello stesso quadro:
– per la prima volta l’Italia non ha partecipato all’Internet Governance Forum, che si è svolto a Bali dal 22 al 25 ottobre, con la partecipazione di 111 Paesi, in cui si è discusso del tema dei diritti dei cittadini nella rete;
– tutti gli indicatori mostrano il nostro Paese in chiaro ritardo rispetto alla media dei Paesi europei, anche secondo la rilevazione annuale realizzata dalla Commissione Europea sugli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea. Ma non esiste nessun piano generale per recuperare questo ritardo;
– in tutti i provvedimenti governativi sui temi economici il digitale continua a rimanere marginale, e non è considerato elemento di base per la crescita, come auspicato dalle Regioni, dalle imprese e dalle associazioni della società civile;
– è ancora da emanare buona parte dei decreti attuativi del decreto Crescita 2.0;
– l’Agenzia per l’Italia Digitale (Agid), soggetto attuatore dell’Agenda Digitale, dopo un anno non ha uno Statuto e quindi è azzoppata nella sua operatività.
In questo quadro negativo, con una progressiva deindustrializzazione del Paese e una sempre più consistente disoccupazione, in particolare giovanile, lascia perplessi la scelta del Commissario Caio di focalizzarsi esclusivamente su anagrafe unica, identità digitale e fatturazione elettronica. Infatti, senz’altro le tre priorità individuate sono fondamentali per la digitalizzazione dei processi della PA, ma porre in sequenza gli altri temi, dal commercio elettronico alle comunità intelligenti, dalla banda larga alla cultura digitale, rischia di ritardare ancora l’impegno su questi temi altrettanto urgenti o, meglio, in mancanza di un quadro di riferimento, di favorire lo sviluppo di interventi non coordinati tra loro e a macchia di leopardo.
In questa critica situazione sono certamente da apprezzare le iniziative dell’Agid che, nonostante tutto, sta avviando quanto previsto nel decreto Crescita, dal piano nazionale per la cultura e le competenze digitali ai lavori del coordinamento tecnico delle comunità intelligenti. Iniziative che, per poter esprimere una reale concretezza, dovranno però dotarsi di quel quadro strategico che ancora non c’è.
È necessario un cambio di rotta. Adesso. La Cabina di Regia per l’Agenda Digitale potrebbe farlo, ad esempio, prendendo da subito in carico la definizione di:
a) una strategia e degli obiettivi misurabili, in tutte le aree;
b) tre-quattro progetti-paese per coordinare le iniziative governative, parlamentari, territoriali per l’attuazione dell’Agenda Digitale (e qui auspichiamo anche il varo rapido di una Commissione Permanente sull’Agenda Digitale, richiesta oggi da oltre 200 deputati);
c) una governance chiara.
L’Italia non può ancora aspettare. È necessaria un’Agenda Digitale che sia “un’idea di futuro”, e che indichi come il digitale debba cambiare i modelli di impresa, di produzione, di lavoro, di partecipazione del Paese.
Sapendo che i maggiori ostacoli su questo percorso sono la burocrazia, la corruzione e i conflitti d’interesse, il familismo che blocca il sistema e un po’ di diffusa incompetenza digitale.