Samsung li utilizza per potenziare il “content recommendation engine” dei suoi nuovi televisori intelligenti. Progressive Insurance si basa su di essi per catturare il comportamento alla guida dei propri clienti, determinandone i profili di rischio e stabilendo prezzi più competitivi. LexisNexis Risk Solutions li utilizza per meglio studiare le persone e i loro rapporti familiari, contribuendo in tal modo a ridurre le frodi a danno delle istituzioni finanziarie e assicurative.
Stiamo parlando dei Big Data e dell’estrapolazione e lavorazione di petabyte di informazioni per acquisire conoscenze sul comportamento dei clienti, sull’efficienza della supply chain e su molti altri aspetti legati alle performance aziendali. Gli analisti di settore e gli osservatori media li promuovono come la “next big thing” per ogni genere d’impresa e molte aziende si sono già affrettate a dotarsi delle tecnologie adeguate. Ma assicurarsi una capacità di analisi avanzata vale l’investimento? Un recente studio di Bain & Company, però, dovrebbe mettere nuova luce su questa questione.
Esaminando più di 400 grandi aziende, abbiamo rilevato che i primi utilizzatori dei Big Data analytics hanno guadagnato un vantaggio significativo rispetto al resto del mercato e che le aziende leader hanno due volte più probabilità di essere tra le prime per performance finanziarie all’interno del loro mercato. Cinque volte più probabilità di prendere decisioni molto più velocemente dei competitor. Tre volte più probabilità di implementare le decisioni esattamente secondo quanto pianificato. Due volte più probabilità di prendere decisioni chiave.
Per entrare nel mondo dei Big Data, un’azienda deve puntare su tre cose: grandi quantità di informazioni in un formato che consenta facile accesso e analisi, strumenti analitici avanzati, come Hadoop e NoSQL, e risorse in grado di fare buon uso di questi strumenti. Ma questo potrebbe non bastare, perché i Big Data non sono solo un’iniziativa tecnologica, bensì qualcosa che deve essere assorbito profondamente dalle organizzazioni. Si tratta dell’unico modo per garantire che le info e la loro comprensione siano condivisi tra unità di business e funzioni differenti, e che l’intera azienda riconosca le sinergie e le economie di scala che una ben progettata capacità analitica può fornire.
Le imprese illuminate approcciano i Big Data partendo innanzitutto dall’obiettivo che intendono perseguire. Ci sono quattro aree in cui gli analytics possono essere rilevanti: migliorare l’offerta esistente di prodotti e servizi, snellire i processi aziendali interni, creare nuovi prodotti o servizi e trasformare il proprio modello di business. Proprio come ha fatto di recente Humana, società di assicurazioni che, utilizzando i dati relativi ai reclami, è oggi in grado di determinare chi corre il maggior rischio di finire in ospedale e intervenire in anticipo. Definito l’obiettivo, i leader nei Big Data devono lavorare sullo sviluppo di una capacità di analisi “orizzontale”. Imparare a superare la resistenza interna per sostenere l’uso dei dati in tutta l’organizzazione.
Successivamente devono saper creare un modello organizzativo adatto. Le aziende con profonde competenze analitiche, come Google e Progressive, possono ancora contare su un approccio decentrato. Ma molti altri hanno scoperto che potersi avvalere di un Centro di Eccellenza (CoE) offre maggiori vantaggi. Un CoE efficiente agevola l’accesso e lo scambio di dati. A livello aziendale, il CoE definisce la “strategia dei dati” e la roadmap, fornisce il supporto richiesto, stabilisce le politiche sulla privacy.
Come approcciare i Big Data? Il primo passo è analizzare il mercato di riferimento determinare la posizione attuale dell’azienda rispetto a quella dei principali competitor. È quindi possibile iniziare a sperimentare, verificando dove e come un sistema di analisi avanzato è più probabile che possa aiutare il business. Ciò aiuterà a determinare la giusta “Big Data Ambition”, sviluppando una nuova cultura del dato e decidendo il miglior modello organizzativo.