Partiamo dai fatti: nei primi 8 mesi del 2013 gli editori italiani hanno prodotto oltre 19mila ebook. Nel 2012 erano stati 12mila nello stesso periodo. 4.500 circa di questi ebook sono in versione pienamente accessibile, grazie al servizio Lia (www.libriitalianiaccessibili.it), unicum nel mondo, che dimostra come l’innovazione possa essere declinata anche in termini di responsabilità sociale d’impresa. Ci sono in commercio 11mila titoli di libri di testo interamente digitali e altri 19mila misti carta più digitale, numero maggiore rispetto a tutti gli altri paesi europei. L’editoria di ricerca italiana è presente in misura crescente online, con circa mille riviste scientifiche disponibili e un crescente numero di monografie in ebook.
A un recente convegno promosso da Confindustria Digitale sono stati proposti tre obiettivi: la crescita dell’ecommerce, la presenza di piattaforma di filiera e lo sviluppo di sistemi per la gestione in rete di ordini e fatturazioni. Pochi ricordano che il commercio elettronico nasce in Italia nel settore librario, dove oggi vale circa il 13% del fatturato, quota superiore alla gran parte degli altri comparti industriali. O che da tempo nel nostro settore operatori nazionali hanno costruito piattaforme di filiera per distribuzione, aggregazione e vendita di contenuti digitali, o ancora che la gestione online di ordini e fatture è una realtà nel vecchio e bistrattato commercio librario fin dal 2000, l’anno del lancio di Arianna.
Di fronte a questo quadro è ancora lecito ritenere che vi sia un problema di “offerta legale” di contenuti editoriali digitali? A me pare che le priorità politiche siano altre: la discriminazione Iva tra libri di carta e ebook, un contrasto più efficace alla pirateria online e una politica coerente di sostegno all’innovazione.
L’assurdità di una norma fiscale che prevede l’Iva del 4% per i libri cartacei e del 22% per quelli digitali è ormai proverbiale: l’ha richiamata di recente anche Enrico Letta in più occasioni. Ma non si fanno progressi. La competenza è dell’Ue, ma la posizione dell’Italia è decisiva e finora a Bruxelles non si è fatta sentire con forza sufficiente. Vi è un problema di competitività delle imprese italiane: le librerie online nazionali pagano l’Iva al 22%, mentre il principale concorrente internazionale, con sede a Lussemburgo, paga il 3%. Si può competere con 19 punti di handicap?
La concorrenza più impari è però quella con i pirati: c’è un regolamento Agcom molto equilibrato, che colpisce chi specula a danno del lavoro altrui, senza sanzioni per gli utenti, intrusioni nella loro privacy, filtri preventivi, con ampie possibilità di contraddittorio, e ha il consenso delle Ict.
Riuscirà a compiere l’ultimo miglio? Opposizioni pretestuose cercano ancora di rinviarne l’attuazione. Trovo offensivo che ciò avvenga in nome della libertà di espressione. Difendiamo il diritto d’autore perché è strumento di libertà, che ci rende indipendente da governi o potentati economici, e forse è questo il motivo di tanto astio.
Il terzo tema, l’innovazione, riguarda anch’esso il diritto d’autore. Si dice che va adeguato alle sfide del digitale. Ma come? Abilitando una gestione volontaria dei diritti che faccia uso delle tecnologie per fornire risposte alle esigenze che le stesse tecnologie creano. È l’ipotesi di Licences for Europe, l’iniziativa Ue che si conclude in questi giorni, nell’indifferenza del dibattito politico italiano, mentre l’industria editoriale partecipava a pieno titolo. Nel sostegno all’innovazione la politica deve trovare la sua direzione di marcia, sfruttando le occasioni che vengono dall’Europa, mettendo in primo piano le industrie dei contenuti nello sviluppo dell’agenda digitale.