“L’Italia è perfetta per essere valorizzata attraverso Internet: abbiamo tante micro-eccellenze dal punto di vista produttivo e manifatturiero e soprattutto un brand forte, il made in Italy, che si presta a essere straordinariamente amplificato dalla Rete”. Ne è convinto Fabio Vaccarono, country director di Google Italy, la divisione del colosso statunitense che il mese scorso ha inviato il presidente esecutivo Eric Schmidt a Roma per lanciare tre progetti dedicati agli italiani.
Google scommette sulla crescita dell’economia digitale in Italia. Perché?
Perché siamo convinti che è la sua più grande opportunità per uscire dalla crisi. Il male principale di questo Paese si chiama non crescita e il corollario è la disoccupazione giovanile: ormai siamo al 40% in alcune parti d’Italia. Ma teniamo presente che il 21% della social growth nei Paesi del G20 deriva dall’adozione di Internet. Poi qualche raffronto: oggi l’economia digitale in Italia vale poco più del 2% del Pil, mentre la Gran Bretagna prevede di ricavare dal settore il 10% del prodotto interno lordo entro il 2015. Altro dato ancora più drammatico: il numero di piccole medie imprese italiane che hanno un sito Internet (17%) è circa la metà del numero di Pmi spagnole dotate di un loro sito (34%).
Quali sono le opportunità in questo scenario?
Attualmente lo spazio di manovra per creare un ecosistema digitale è enorme proprio perché siamo rimasti indietro e dobbiamo recuperare.
Ma il made in Italy esercita ancora un appeal internazionale?
Assolutamente, e lo dimostra il search. Da una verifica sulle ricerche dei consumatori globali su Google nei primi sei mesi del 2013 su tematiche afferenti al made in Italy abbiamo constatato che sono cresciute di un ulteriore 8%. Analizzandole per settore, le aree maggiormente in crescita sono moda, auto, cibo, turismo, vacanze, luoghi: i nostri punti di forza da sempre. Tutto questo ci porta a concludere che l’adozione totale dell’economia digitale sia l’unica soluzione per il Paese, anche a livello occupazionale.
Eppure da alcuni studi emerge che l’avvento del World Wide Web ha finito per ridurre i posti di lavoro, soprattutto in determinati settori.
Secondo una ricerca della London School of Economics un’ipotetica economia che veda crescere del 10% il proprio settore digitale ottiene un punto e mezzo in più di occupazione giovanile. E, da uno studio di Google con il Boston Consulting Group, emerge che, per ogni posto di lavoro a bassa intensità intellettuale apparentemente disintermediato dalla tecnologia, se ne creano stabilmente 1,8. Il digitale può essere il più grande volano per l’occupazione tout court e in particolare per quella giovanile. E poi, se guardiamo ai Paesi più digitalizzati del mondo, le loro dinamiche di crescita del Pil e dell’occupazione sono enormemente positive e strettamente correlate alla crescita della Rete. Sono Stati dove nascono continuamente imprese innovative e che assorbono i migliori cervelli dall’estero.
In quei casi però c’è un vero ecosistema digitale.
In effetti in Italia non c’è ancora, ma si può formare molto rapidamente. Per questo il presidente Eric Schmidt ha annunciato tre direttrici di investimento su cui Google intende concentrarsi per l’Italia e che riteniamo possano essere straordinari acceleratori di sviluppo dell’ecosistema. Innanzitutto portare l’eccellenza del made in Italy su Internet. L’Italia rappresenta l’1% delle terre emerse e possiede il 50% di tutte le bellezze del pianeta, eppure questa “densità di italianità” sulla Rete ancora non c’è.
Come intendete realizzarla?
Posso dire che uno dei player con cui stiamo dialogando è Unioncamere, con cui già abbiamo realizzato “Distretti sul web”: in base a questo progetto Google e Unioncamere mettono a disposizione delle piccole e medie imprese di 20 distretti italiani un giovane, formato e sostenuto attraverso una borsa di studio, per accompagnarle a scoprire le opportunità del web ed aiutarle così ad accrescere la propria competitività e l’accesso ai mercati internazionali. C’è poi, tra gli attori con cui siamo in dialogo, l’Università di Venezia. E c’è il ministero delle Politiche agricole, perché la filiera agro-alimentare sarà uno dei temi dell’Expo 2015 a cui guardiamo con molta attenzione. È un work in progress, ma ha già dei capisaldi. Ci stiamo lavorando e nelle prossime settimane daremo visibilità al prosieguo dell’iniziativa nel suo complesso.
E le altre due direttrici di azione?
Vogliamo concentrarci sulle piccole e medie imprese, aiutandole ad avere successo attraverso Internet. Da un nostro studio in collaborazione con Doxa Digital è emerso che, anche in un momento di difficoltà, se le nostre micro-eccellenze abbracciano le opportunità di commercializzazione e promozione offerte dal web riescono a crescere con un moltiplicatore molto più significativo rispetto ai competitor che non sono su Internet. Inoltre grazie alla Rete si può ribattere alle vecchie accuse di “nanismo” rivolte al sistema imprenditoriale italiano: ora le aziende “nane” possono salire sulle spalle del gigante e iniziare a competere per nicchie globali da centinaia di milioni di consumatori. Terza e ultima direttrice: i nostri giovani.
Cosa farete per le nuove generazioni?
Innanzitutto credere in loro. In alcuni casi sono brillanti e sono cervelli che vanno ad arricchire i sistemi economici di altri Paesi. Eppure da una parte i nostri imprenditori che scelgono di digitalizzarsi dichiarano, nel 22% dei casi, di non trovare “digital intellectual capital” adeguato alle loro esigenze. Dall’altra parte abbiamo una disoccupazione giovanile al 40%. Finalmente i giovani italiani avranno una missione strategica per loro e per il Paese: dare un contributo alla modernizzazione dei distretti industriali italiani grazie alle loro competenze digitali. Pensiamo a un’allenza win-win tra loro e gli imprenditori. Ma per il momento non possiamo dire altro. Di certo siamo convinti che su queste tre direttrici si giochi la crescita futura dell’Italia.