Senza grandi sorprese lo stato di salute delle telecomunicazioni europee continua a mostrarsi particolarmente cagionevole, vittima di una spirale negativa che non ha accennato schiarite sin dal 2009. A suonare l’ennesimo campanello di allarme è l’ultima relazione economica annuale di Etno, l’associazione europea degl’incumbent, presentato nella sua integralità nella giornata di oggi dopo che una manciata di cifre salienti era stata anticipata attorno a fine novembre. Elaborato come di consueto in tandem con la società di market analysis and consulting Idate, lo studio conferma che la caduta libera dei ricavi è ben lungi dall’arrestarsi.
Il fatturato complessivo del settore nel 2012 ha registrato una contrazione dell’1,8% (273,8 miliardi di euro), quasi una “lieta novella” se raffrontata al vertiginoso -3,7% previsto per l’anno in corso. Il guaio, annota il rapporto, è che mentre i chiari di luna della telefonia fissa hanno ormai assunto tratti cronici “a causa della competizione dei prezzi e dell’espansione dei servizi VoIP”, anche le sofferenze del mobile si sono via via fatte più acute. I ricavi di quest’ultimo segmento, dopo aver cessato di crescere per la prima volta nel 2011 (-0.4%), l’anno passato sono scesi dell’1,2% su base annuale.
L’altra faccia della crisi è l’ormai conclamata frenata degli investimenti, che piazza l’Europa di parecchie lunghezze dietro campioni del calibro di Giappone e Stati Uniti. Nel biennio 2011-2012, segnala Etno, i valori del capex europeo sono di segno negativo (-0,2%), contro un balzo del 6,7% oltreoceano e del 7,5% nel mercato nipponico. Questi dati, come è noto, si stanno traducendo “in un declino del peso dell’Europa nel mercato globale delle telecom”, la quota del Vecchio Continente essendosi più che dimezzata nel volgere di 10 anni: dal 30% del 2002 al 22% del 2012.
La diagnosi del problema per Etno è abbastanza luminosa. Le malinconie delle telecom europee sono ascrivibili ad un mix “di competizione serrata e pressione regolamentare”. Ma le big telco europee sono nondimeno ottimiste sugli scenari futuri. “Il 2014 può essere l’anno del cambiamento”, commenta il chairman di Etno Luigi Gambardella. “Le politiche e l’approccio regolamentare adottati saranno decisivi nel riattivare l’interesse degli investitori nel nostro settore. Ci sono iniziali segnali positivi nei mercati e abbiamo assistito ad importanti passi nella giusta direzione da parte di Bruxelles”. In una parola, Etno è “fiduciosa che questo trend aiuterà le telco europee a ritrovare un cammino di crescita”.
Del resto, non tutte le cifre messe in fila dal rapporto si declinano con il segno meno. I ricavi nel segmento Internet, ad esempio, restano positivi, essendo nel 2012 cresciuti del 2,3% su base annuale. Il che, tuttavia, è poca cosa rispetto al +3,8% registrato l’anno precedente, e rappresenta oltretutto la peggiore performance del periodo 2007-2012.
Al netto di queste difficoltà, Etno segnala in ogni caso lo sforzo degli operatori europei nella costruzione di reti ultraveloci, quantificando in 46 miliardi di euro le spese per capitale dell’anno scorso, equamente suddivise tra network mobili (20 miliardi) e network fissi (26 miliardi). La copertura delle reti di nuova generazione, per sua parte, si è impennata del 13% rispetto al 2011, abbracciando circa 150 milioni di case (ma gli abbonati sono 23,7 milioni).
La strada per centrare entro il 2020 gli obiettivi per la banda ultralarga delineati dalla Commissione Ue è però ancora lunga e tutta in salita. Echeggiando stime della Commissione europea e del Boston Consultng Group, Etno indica che occorrono da 110 a 170 miliardi di euro in investimenti per non tradire le ambizioni dell’Agenda Digitale per l’Europa. Un numero che alcuni giudicano esagerato, ma che adombra un problema reale, su cui è difficile chiuder gli occhi. Anche la Commissione europea nel documento di accompagnamento al pacchetto sul mercato unico, presentato in settembre, ha voluto accendere un faro. Secondo i dati diffusi all’epoca da Bruxelles in termini reali il settore ha diminuito il reddito del 2,2% nel 2011 e dell’1,1% nel 2012, la capitalizzazione di Borsa è scesa del 2,2% dal 2011 e il tasso di investimento netto degli ex monopolisti è “virtualmente zero”, con una distanza che si accresce rispetto ai concorrenti.