La commissione Bilancio della Camera ha riscritto e alleggerito la web tax, chiudendo in nottata l’esame della legge di stabilità che approderà oggi pomeriggio in Aula con tutte le novità apportate a Montecitorio.
La web tax (detta anche erroneamente Google tax) promossa dal presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia – in realtà non una vera nuova tassa ma una serie di interventi normativi ai fini Iva e delle imposte dirette per tassare in Italia i proventi derivanti dal commercio elettronico diretto e indiretto – è stata dunque riformulata dopo una serie di critiche piovute sul provvedimento, prima fra tutte quella del nuovo segretario del Pd Matteo Renzi.
Dalla nuova versione è scomparso l’obbligo di aprire partita Iva in Italia per tutti i soggetti che effettuano il servizio di commercio elettronico diretto o indiretto. Rimane invece in piedi la necessità di acquistare servizi di pubblicità, link sponsorizzati online e spazi pubblicitari solo da soggetti titolari di partita Iva italiana.
In particolare dopo l’articolo 17 è stato inserito il 17 bis. Il comma 1 specifica che “i soggetti passivi che intendano acquistare servizi di pubblicità e link sponsorizzati online anche attraverso centri media ed operatori terzi sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita Iva italiana”. Al comma 2 si puntualizza: “Gli spazi pubblicitari online e i link sponsorizzati che appaiono sulle pagine dei risultati dei motori di ricerca (…), visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito o la fruizione di un servizio online (…) devono essere acquistati esclusivamente attraverso soggetti quali editori, concessionarie pubblicitarie, motori di ricerca o altro operatore pubblicitario, titolari di partita Iva italiana”.
Dopo aver dichiarato qualche giorno fa che “i temi della web tax vanno posti in Europa, altrimenti rischiamo di dare l’immagine di un Paese che rifiuta l’innovazione”, ieri Matteo Renzi, durante #matteorisponde su Twitter, era tornato sull’argomento in modo ancora più esplicito: “Chiediamo al governo Letta, al presidente del Consiglio di eliminare ogni riferimento alla web tax e porre il tema dopo una riflessione sistematica nel semestre europeo”.
Contrari anche i 5 Stelle. Durante la seduta di ieri sera della Commissione Bilancio hanno deciso di abbandonare l’aula in polemica con l’emendamento che hanno definito “un favore a De Benedetti“, schieratosi apertamente a sostegno della web tax.
Tra le numerose voci contrarie anche Stefano Parisi, presidente di Confindustria digitale, che nei giorni scorsi ha sostenuto: “La web tax allontana gli investitori stranieri dall’Italia, perché così si cambiano le regole solo da noi”. Molto critica anche Lorenza Bonaccorsi, parlamentare del Pd e membro della commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera: “Dovremmo abbassare le tasse e non metterne di nuove, dovremmo incentivare i settori che danno occupazione e crescita e non ostacolarli” ha detto in questi giorni. “È una norma che è probabile che non abbia efficacia, quindi anche se non la cancelliamo, la cancella l’Europa”, ha affermato Filippo Taddei, responsabile economico del Partito democratico. Per Riccardo Donadon, Presidente di Italia Startup rischiava di “essere un clamoroso autogol per il nostro Paese”. Tra coloro che si erano espressi a favore invece l’editore Carlo De Benedetti e Andrea Pezzi, fondatore della media company Ovo.
Retromarcia di Sel, che si dichiara soddisfatta delle modifiche all’emendamento. Escludendo “il commercio elettronico dall’obbligo di partita Iva, mette al riparo da possibili penalizzazioni delle piccole e medie imprese italiane” ha detto il deputato di Sel Sergio Boccadutri, componente della commissione Bilancio e cofirmatario dell’emendamento alla Legge di stabilità sulla Web tax. “In questi giorni – prosegue – il fuoco di sbarramento alimentato dai gruppi di pressione è stato sull’obbligatorieta’ della partita Iva italiana per l’e-commerce ed eventuali rischi di infrazione in ambito europeo. Ma il cuore della questione è l’advertising. Da oggi, infatti, vincolando alla titolarità di una partita Iva italiana i soggetti che intendono vendere spazi pubblicitari, si pone un freno molto significativo al cosiddetto ‘profit shifting’, la pratica di non pagare le tasse in paesi diversi da quelli in cui viene fornito il servizio, una vera e propria elusione legalizzata”.
In un intervento apparso oggi sul Sole 24 Ore, Boccia ribadiva la validità del provvedimento così come formulato originariamente: “La web tax – ha scritto – ha il solo obiettivo di tutelare le imprese italiane dal sistema di totale concorrenza sleale in cui sono costrette ad operare. Il mercato digitale è squilibrato e si registra un dominio incontrastato delle multinazionali del web”. Non si tratta, insomma, proseguiva Boccia, ”di aumentare l’imposizione fiscale, ma di creare regole uguali per tutti. Quella che furbescamente lobby potentissime hanno definito ‘web tax’ non va a tassare gli utenti o le aziende italiane che le tasse le pagano già ma le multinazionali del web. E ci consentirebbe, tra le altre cose, di tracciare anche i flussi finanziari che fuggono all’estero”.