“In relazione alle vicende societarie e finanziarie della società Telecom e di Telco non vi sono indagati per il reato di ostacolo alla vigilanza nè per alcun altro reato”. Lo precisano, in una nota, il capo della procura di Roma Giuseppe Pignatone e l’aggiunto Nello Rossi replicando a notizie di stampa pubblicate oggi a seguito dell’audizione resa ieri, come persona informata sui fatti, da Franco Bernabè, presidente di Telecom sino al 3 ottobre scorso. “Al riguardo – precisano Pignatone e Rossi – le dichiarazioni attribuite a Bernabè e riportate dagli organi di stampa non corrispondono al verbale redatto ieri”. Ieri l’ex presidente esecutivo è stato ascolato per tre ore dai pm romani.
Nella nota si legge che “la procura di Roma, sin dai primi giorni del mesi di ottobre di quest’anno, ha doverosamente seguito gli sviluppi della vicenda Telecom, sollecitando e intrattenendo con la Consob i fisiologici scambi di informazioni tra autorità giudiziaria ed organo di vigilanza previsti e regolati dall’articolo 187 decies del decreto legislativo del 1998 n.58 (Testo Unico dell’Intermediazione finanziaria) anche nelle ipotesi in cui non siano ravvisabili reati”. L’audizione di Bernabè, precisano ancora il procuratore Pignatone e l’aggiunto Rossi, rientra “in questo quadro di preliminare acquisizione di informazioni”.
Come riporta oggi il Corriere della Sera le verifiche ordinate dai magistrati romani ipotizzano che per il passaggio delle quote in Telco relative al controllo di Telecom Italia e la cessione di Telecom Argentina, possa essere contestato il reato di ostacolo agli organi di Vigilanza.
Secondo il quotidiano i Pm esplorano la possibilità che ci sia stata un’intesa occulta tra i maggiori azionisti per favorire l’ascesa degli spagnoli di Telefonica e sfuggire ai controlli di chi ha invece il compito di esaminare la regolarità di ogni passaggio, prima fra tutte la Consob. Sono almeno 3 le “criticità” rilevate dagli inquirenti e dagli specialisti del Nucleo Valutario della Guardia di Finanza riguardo a quell’accordo stipulato il 24 settembre scorso tra i soci di Telco (Assicurazioni Generali, Intesa San Paolo e Mediobanca) e Telefonica.
La prima riguarda l’aumento di capitale sottoscritto da Telefonica per 324 milioni di euro e destinato a ripianare i debiti bancari. La seconda punta invece alle modalita’ di emissione del prestito convertendo da 1,3 miliardi di euro sottoscritto dal fondo americano BlackRock. Il 3° capitolo che si sta approfondendo riguarda la vendita di Telecom Argentina a Fintech per 960 milioni di dollari con 860 milioni per la cessione delle azioni e altri 100 per affari collegati. Al centro delle verifiche c’e’ la congruità del prezzo per stabilire se sia vero quanto sostenuto dalle parti che hanno concluso l’affare circa il vantaggio economico per Telco.
Intanto nella battaglia su Telecom spunta l’esposto di un piccolo socio del gruppo telefonico che chiede alla Consob ”di accertare l’esistenza” di un patto non dichiarato tra la Findim di Marco Fossati e l’Asati di Franco Lombardi e ”sterilizzare il diritto di voto” dei due pattisti. Secondo l’esposto, firmato da Marco Pedretti, commercialista parmense e presidente di Azione Parmalat (associazione di piccoli azionisti del gruppo di Collecchio), Asati e Findim ”attraverso le loro dichiarazioni hanno palesemente dimostrato la sussistenza di un accordo di voto” con Findim che avrebbe offerto a Lombardi la candidatura in Cda in ”contropartita” del sostegno e dei voti dell’Asati.
L’esposto, all’esame della Commissione, sottolinea come l’Asati, sollecitando le deleghe in vista dell’assemblea, abbia dichiarato di non trovarsi in ”conflitto di interesse”, circostanza che sarebbe invece ”palesemente inveritiera” vista la candidatura di Lombardi in Cda. Pedretti ricorda tra l’altro ”le diverse dichiarazioni stampa in cui si evince chiaramente un sinergia” tra Lombardi e Fossati ”che non puo’ altro che essere un patto parasociale, anche se di carattere temporaneo”