Né vinti né vincitori. Ma la partita non è chiusa. Ed è già iniziato il conto alla rovescia verso l’appuntamento di aprile 2014. La tanto attesa Assemblea di Telecom Italia chiamata a esprimersi sulla proposta di revoca del cda proposta da Marco Fossati, il presidente della Findim (terzo azionista in quota con il 5%) non solo non ha sortito sorprese – la revoca non c’è stata come prevedibile – ma ha rimesso la palla al centro riportando la situazione allo status quo.
Se è vero che Telco l’ha spuntata sulla mancata revoca è anche vero che la holding non è riuscita a portare a casa, per mancanza di quorum, la nomina degli amministratori a integrazione del cda in carica a seguito delle dimissioni dell’ex presidente esecutivo dell’azienda Franco Bernabè e di Elio Catania e alla rinuncia di Angelo Provasoli. La squadra a 11 è però comunque “temporanea”: è fissata infatti ad aprile 2014 l’Assemblea decisiva, quella chiamata a varare il nuovo consiglio oltre che l’approvazione del bilancio.
A mettere d’accordo tutti è la necessità di una governance più trasparente e tutto fa pensare che Telecom è destinata a trasformarsi in un’azienda su modello di una public company. Sul piatto la modifica dello statuto, evocata da Fossati e appoggiata dallo stesso numero uno dell’azienda, Marco Patuano. Di qui ad aprile si scioglieranno dunque tutti i nodi: Telefonica dovrà decidere il da farsi, BlackRock dovrà svelare da che parte sta e anche la posizione del governo dovrà inevitabilmente chiarirsi.
Il “giallo” sull’appoggio a Telefonica non potrà restare senza “colpevoli”: tutti dovranno prima o poi gettare le carte in tavola e palesare con chiarezza le proprie posizioni. Perché il destino di Telecom Italia è legato a stretto filo a quello di un Paese, il nostro, chiamato a fare i conti con l’esigenza di dotarsi di un’infrastruttura a banda larga adeguata alle esigenze dell’economia digitale. Pena un gap incolmabile con il resto dell’Europa e del mondo che rischia di gettarci in una crisi ancor più profonda di quella che già stiamo faticosamente attraversando: se non si punta sull’economia digitale il Paese sarà fuori dai giochi. È un dato di fatto. E non basteranno più i proclami sull’Agenda digitale né l’oramai infinito dibattito sulla necessità o meno di una discesa in campo della Cassa depositi e prestiti o di questo o quell’altro investitore di turno pronto a fornire il proprio contributo, per mettere fine a una saga che sempre più assume i toni di una presa in giro. Basta con le chiacchiere: lo diciamo da anni attraverso le pagine del nostro giornale, ma ci impegneremo ancor di più – è l’auspicio per il 2014 – affinché siano riconosciuti una volta per tutte dignità e valore al tema del digitale.