Trovato (Ibl): “Concorrenza fiscale più efficace della web tax”

L’esperto al Corriere delle Comunicazioni: “Il fatto che ci siano Stati che mantengono tasse più basse è un incentivo all’abbassamento anche per altri Paesi”. E sugli Ott: “Discriminarli non serve”

Pubblicato il 03 Gen 2014

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“Si può certamente discutere se i tradizionali meccanismi fiscali siano ancora adeguati in un’epoca in cui l’economia digitale ha abbattuto le distanze e i costi di transazione, ma quello che non si può fare è scegliere i principi che più fanno comodo a seconda dell’identità del contribuente. In altre parole non si può decidere di tassare solo gli over the top”. Massimiliano Trovato fellow dell’Istituto Bruno Leone, spiega al Corriere delle Comunicazioni perché la web tax, così come concepita in Italia, non poteva funzionare.

Trovato il governo ha deciso di far slittare a luglio 2014 l’entrata in vigore del provvedimento in attesa di un giudizio Ue. Come giudica la scelta?

Lo dico senza mezzi termini: questa decisione ha di fatto messo una pietra tombale su una norma che non solo sarebbe stata inefficace ma soprattutto dannosa all’economia italiana. La web tax è un’imposta illegittima perché contrasta con gli obblighi internazionali dell’Italia ed inutile alla luce degli obiettivi dei suoi stessi proponenti. Ai servizi prestati elettronicamente ai soggetti passivi già oggi si applica l’Iva italiana e perché la titolarità di partita Iva non potrebbe dimostrare alcuna “stabile organizzazione”.

Però non si puàòegare che esiste un sistema fiscale non adeguato a sostenere un’economia digitale.

Il punto è proprio questo: l’adeguatezza di un paradigma fiscale che oggi impone di pagare le tasse laddove si produce e dove ci sono i dipendenti – è vero che Google, ad esempio, ha dipendenti anche in italia ma sono marginali – e non laddove il prodotto viene consumato. Se si decide di cambiare il paradigma e optare per il principio secondo cui si paga laddove si partecipa al mercato, il cambio di passo deve interessare anche le aziende tradizionali come quelle vinicole, ad esempio. Le imprese italiane vendono all’estero e pagano le tasse in Italia, se si cambiasse il sistema quelle imprese pagherebbero le tasse altrove. È questo che vogliamo?

Lo chiedo a lei.

Io credo che in Europa la concorrenza fiscale sia uno strumento importante per incentivare anche gli stati più grandi, in genere più propensi a tassare in maniera più massiccia, a tenere le aliquote più basse.

Crede che un’azione a livello europeo possa servire?

Ribadisco la bontà del principio della concorrenza fiscale. Detto questo la questione è squisitamente politica: bisogna vedere se avranno la meglio gli stati più grandi o gli altri. È un problema di peso contrattuale.

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