“Il futuro delle aziende editoriali punta decisamente verso la fruizione di notizie in mobilità, perché i lettori si sposteranno sempre più sui device. Servono dunque tecnologie web che permettano di avere contenuti in grado di adattarsi ai vari dispositivi: in pratica creare il contenuto una sola volta e fare in modo che si conformi agli schermi diversi dei diversi device”. Lo sostiene Massimo Barsotti, direttore marketing di EidosMedia, società italiana specializzata nella progettazione di piattaforme digitali multicanale, con alcuni grandi clienti nel nostro Paese ma operativa anche in Francia, Germania, Uk, Australia e Usa. “Nel corso degli ultimi anni – prosegue Barsotti delineando una sintetica panoramica dell’evoluzione tecnologica delle aziende editoriali – sono nati costantemente nuovi canali di trasmissione delle news, e si è passati dal cartaceo al web fino ai device. E ogni nuovo canale porta con sé opportunità, ma anche necessità”.
Come ha reagito il mercato alle nuove esigenze?
Inizialmente l’approccio ai vari canali non è stato molto coerente, spesso le novità sono state sottovalutate ed è stata attuata una semplice redistribuzione dello stesso materiale su vari canali senza nessun tipo di adeguamento in termini di contenuti. Ma chi ha compreso l’importanza del cambiamento ha capito che occorre focalizzarsi il più possibile sui content e non sul canale di trasmissione. Faccio un esempio: se il giornalista ha una notizia urgente, la pubblicherà innanzitutto su smartphone, mentre un approfondimento o un editoriale si confà maggiormente al cartaceo. Il canale dovrebbe essere preso in considerazione in seconda istanza, prima va valutata con attenzione la qualità del contenuto per capire dove può essere veicolato. C’è poi un’altra forma di evoluzione a cui stiamo assistendo.
Quale?
Lavorare su un canale “neutro”. Mi spiego: una volta pianificata la scrittura dei contenuti (quali argomenti affrontare, con quale criterio e secondo quale ordine), attraverso i nuovi strumenti tecnologici è possibile condividere questa pianificazione e pilotare a monte le uscite sui vari canali. È in sostanza quello che propone il nostro software Méthode.
Come funziona nello specifico?
Dà la possibilità ai redattori di concentrarsi sui contenuti, perché la distribuzione su più canali è a carico del software stesso. E facilita una serie di operazioni, ora in carico al giornalista, dalla ricerca di foto alla gestione degli hyperlink. Infatti, di pari passo all’evoluzione dello strumento, sta avvenendo una parallela evoluzione della professione del giornalista, che deve ragionare sempre più in termini multimediali. Ma il problema principale, che riguarda invece soprattutto gli editori, è la proliferazione dei gadget. E con gadget intendo i vari dispositivi di cui è provvisto l’utente. I giornali devono trovare modelli sostenibili per riuscire a ‘seguire’ il lettore su tutti i gadget a sua disposizione.
Ci sono ancora resistenze all’innovazione editoriale in Italia?
Finora la crisi economica in Italia ha rappresentato uno degli ostacoli a questo passaggio, eppure, specialmente negli ultimi mesi, è aumentata la sensibilità su queste problematiche e c’è stato una sorta di risveglio. Ciononostante c’è chi ha sposato l’innovazione tecnologica e chi è ancora restio, perché teme che il digitale vada a togliere lettori al cartaceo.
È così?
Dipende. Se si sceglie un modello in grado di conciliare il digitale con il cartaceo i due possono convivere. Per esempio in Belgio il Gruppo editoriale Corelio pubblica un’edizione settimanale serale per iPod, con una selezione di news destinata alle persone che, in quella fascia oraria, rientrano a casa dal lavoro. Gli approfondimenti, gli speciali e i supplementi passano invece dal canale cartaceo, soprattutto nelle edizioni domenicali, perché nel fine-settimana c’è più tempo per leggere articoli lunghi. E poi il Gruppo punta moltissimo sulla qualità dei contenuti.
Da noi non c’è proprio nessun esempio simile?
Al contrario: La Stampa, nostro cliente da un paio d’anni, è un modello di business che molti potrebbero imitare. Purtroppo ci rendiamo conto delle difficoltà oggettive in Italia. Anche per questo il nostro mercato è soprattutto internazionale.