Soffia un infido vento di discordia sul progetto di regolamento europeo in materia di firma e identificazione elettroniche. L’ultimo round di negoziati tra le diplomazie degli stati membri, che si sono succeduti a ritmi febbrili nel corso delle due settimane scorse, avrebbe messo a nudo vistosi contrasti. Anziché aprire la strada ad un celere compromesso, come invece avevano indicato i capi di governo dei 28 a conclusione del Consiglio europeo di ottobre, il primo summit comunitario incentrato sui temi del digitale. La battuta d’arresto proietta per ora un pesante cono d’ombra sulle chance che la normativa sia adottata entro il giro di boa di legislatura, in scadenza a fine maggio. Un termine oltre il quale, complice l’insediamento del prossimo Parlamento europeo e la nomina del nuovo collegio dei commissari, le tempistiche di approvazione potrebbero ulteriormente dilatarsi.
Presentato nel giugno del 2012, il regolamento punta da un lato a instaurare un meccanismo comune di riconoscimento e accettazione reciproci tra i diversi regimi di identificazione elettronica dei 28 stati membri. Quanto alle firme elettroniche, e più in generale ai servizi fiduciari, il testo intende superare un quadro ancora fortemente segmentato su linee nazionali sia in termini di interoperabilità legislativa che tecnica, nonostante un primo e parziale sforzo di armonizzazione consegnato ad una direttiva del 1999. Che l’Italia aveva recepito con una delle leggi più all’avanguardia del continente. L’adozione di norme per garantire il riconoscimento reciproco dell’identificazione e dell’autenticazione elettronica figura peraltro tra le azioni chiave dell’Agenda Digitale per l’Europa, nel solco del completamento del mercato unico digitale. Tanto per citare un esempio concreto, grazie al nuovo regolamento un’azienda potrà partecipare elettronicamente ad un appalto pubblico indetto dall’amministrazione di un altro Stato membro senza rischiare il blocco della sua firma elettronica a causa di requisiti nazionali specifici e di problemi di interoperabilità.
Il testo ha incassato a fine ottobre 2013 il via libera della commissione industria del Parlamento europeo, mentre il voto in plenaria – a questo punto un proforma – dovrebbe essere calendarizzato per aprile, durante l’ultima seduta di legislatura. Tra l’assemblea Strasburgo e il Consiglio, il quale funge da secondo ramo legislativo europeo, è stato peraltro già aperto un canale informale di concertazione al fine di accelerare le procedure di approvazione. Il guaio è che tutti questi sforzi potrebbero essere vanificati, o comunque rallentanti, dalle persistenti tenzoni tra stati membri. Riguardo l’identificazione elettronica i punti più battagliati interessano le tempistiche di entrata in vigore delle nuove regole, l’ampiezza della platea di enti pubblici ai quali si applicheranno, e la definizione delle responsabilità in caso di errori o inefficienze. A quel che risulta al Corriere delle Comunicazioni, ancor meno progressi negoziali sarebbero stati compiuti sulla firma elettronica.
Non è chiaro se la presidenza di turno dell’Ue, in capo alla Grecia sino a fine giugno, possa ritagliarsi un ruolo significativo nel promuovere un compromesso. L’impressione, secondo alcune fonti, è che il governo ellenico, pur avendo inserito l’adozione del regolamento nel proprio programma di lavoro per il semestre, potrebbe dare poco spazio ai temi del digitale. Né disporrebbe in ogni caso di sufficiente peso diplomatico per risolvere l’impasse su firma e identificazione elettroniche. Il che lascerebbe all’Italia, che le succederà alla testa del Consiglio, l’onere di chiudere il dossier. Non tutto è perso, però. I negoziati proseguiranno a spron battuto tra febbraio e marzo e, come spiega una fonte diplomatica, anche se sulla sostanza permangono molte divisioni, c’è un’unanimità in Consiglio sull’urgenza di fare in fretta.