Oggi, quale che sia il proprio punto di vista sulla legge elettorale, sussiste l’urgenza del voto elettronico. È urgente perché tempi, modi e costi per votare sarebbero adeguati alle esigenze reali del dibattito politico. Non è solo la questione estetico-funzionale delle file, degli spogli difficoltosi, dei tempi di voto lunghi. Taluni fra quanti vogliono le preferenze e altrettanti fra quanti le aborrono hanno un retropensiero inconfessato: le preferenze consentono il controllo del voto di ciascun elettore che sia condizionabile. Le preferenze coi numeri di lista, ovunque vi sia un capataz politico o malavitoso, offrono la possibilità di imporre a ciascun elettore da lui condizionato la combinazione di voti tale da individuarlo univocamente.
Quanti siete in famiglia? Quattordici persone? Bene, nel seggio 44 di Scampia devo trovare 14 schede con la combinazione 3-1-18. Guai se quel farabutto non trovasse tutte le 14 schede così votate. Difficile negare che sia inaccettabile soggiacere a ricatti di tal genere dopo aver speso tante (in)utili parole contro la corruzione. È davvero inaccettabile? Non si direbbe, visto che, pur senza imbrogli sulle preferenze, oggi vi è la tracciabilità assoluta anche con le liste bloccate, se uno smartphone fotografa nel segreto del seggio il proprio voto, offrendo l’immagine da mostrare al sinistro controllore.
Stare al passo coi tempi significa costruire un sistema di voto che sia al sicuro tanto dai sistemi grossolani e tuttavia efficaci come le “combinazioni”, come pure dalle intrusioni h-itech nel segreto del seggio. Il voto elettronico è democrazia. Ma vogliamo la democrazia?