Quali sono le professioni più promettenti? Come far incontrare domanda e offerta? Il Corriere delle Comunicazioni inaugura la nuova rubrica JobIct
Segni particolari: portatori sani d’innovazione, tendenzialmente giovanissimi e ricercati come pepite d’oro nel torrente della Rete. Sono gli sviluppatori di app, o come preferiscono definirsi, all’inglese, app developer. Sì, perché vivono nella rete globale, dentro e fuori dagli store di Apple, Google e, di recente, anche Microsoft.
Secondo LinkedIn, in base a un’indagine su 260 milioni di curricula e mestieri che fino a cinque anni fa neppure esistevano, i programmatori iOS e Android sono al primo e al secondo posto tra le figure professionali più ricercate del mercato Ict. Non è difficile capire il perché: l’uso di applicazioni su dispositivi mobili continua a evolvere, con una crescita media, a livello mondiale, secondo Flurry, società specializzata in app per analytics, del 115% anno su anno, con punte del 203% nel segmento “Messaging & Social” e del 149% per “Utilities & Productivity”. Gioco forza che i guru delle app siano al top tra i più ricercati e spesso anche meglio pagati. Si va dai giovanissimi freelance, agli “startuppari”, dai consulenti embedded ai dipendenti, in gran parte moonlighter con sogni da piccoli imprenditori.
Come si formano? In autoformazione, giocando con il codice e attingendo al ricchissimo mondo di tutorial e free software rilasciati sul Web. Rivendicano con orgoglio la propria indipendenza, denunciando spesso la distanza e il ritardo delle Università italiane, politecnici inclusi. “Non ho mai comperato un libro”, racconta Daniele Ratti, classe 1992 e già 80 app all’attivo, tra cui “FaceMotion”, gioco che si comanda con il movimento della testa, e “Nomi, Cose, Città Revolution”, scaricato da 1,6 milioni di utenti. “Ho iniziato a 18 anni e dopo l’esperienza nel consumer sono passato al B2B”. Con MadBit Entertainment, Srl a un euro, sta sviluppando FattureInCloud.it. Per Luca Micheli, fondatore di AppSolutely, lo sviluppo di app è stato, addirittura, una via di fuga dall’università. “Ho capito di potermi dedicare a tempo pieno, farlo diventare un lavoro”. Grazie alla fortunata intuizione di un’app per i quiz della patente ha registrato 1,5 milioni di download, assicurandosi buoni introiti pubblicitari. “Il prossimo passo sarà verso il B2B, integrando servizi per le autoscuole e monitorare gli studenti”.
Ogni utente di app vale mediamente due centesimi di euro, ma più tempo utilizza le app, più soldi arrivano. Pochi puntano su quelle a pagamento: il business, soprattutto nel gaming, è feroce. Se arriva il successo, arrivano rapide anche le imitazioni. Meglio formule cosiddette “Freemium” o per la raccolta e rivendita di dati. “Servono a costruire un portfolio”, sostiene Stefano Benetti di Programmatica. “Il resto della formazione arriva nel lavoro in team. Anche perché il maggiore valore delle soluzioni per mobile oggi è legato a progetti estesi, integrati a sistemi di back-end e al Web. Un’app da sola muore”. Il lavoro non manca, ed è perfino troppo. “Applicazioni fatte bene costano come un’auto: dipende da quale modello desideri”, dice. Per arrivare al top bisogna continuare ad aggiornarsi. “Studiare molto e seguire chi ha esperienza, senza farsi affascinare troppo dalle luci della ribalta”, suggerisce Ennio Masi di Hyppocrates syntech, società che opera nel campo biomedicale. “È vero, molto è open source, ma è un lavoro complesso, serve passione, ma anche metodo e sperimentazione continua e individuale”. Con Cosmeeti.co, un’app consumer per la cosmetica, Masi sta testando un modello “Freemium” e l’idea di coinvolgere i big della cosmetica rivendendo servizi di anlytics.
Nella crescita professionale gli ostacoli sono due: saper dare continuità alle idee e alla passione, trasformandole in business, oltre che in un mestiere, e la capacità di trovare la strada giusta, paradossalmente, per eccesso d’opportunità. Rimanere in Italia o migrare in Silicon Valley? Aprire una start-up a New York, dove le nuove imprese sono detassate per 10 anni, o andare a Londra, intascandosi 400 pound al giorno nella consulenza? Sono questi i dilemmi reali di chi ha meno di 30 anni. Difficile, invece, trovare programmatori classici, over 40, che vogliono riconvertirsi al mobile. “Il motivo è semplice”, spiega Alessandro Caianiello, app developer per un grande player del settore assicurativo. “I nostri programmatori aziendali sono abituati ad ambienti complessi, meno aperti, e tendenzialmente diffidano di progetti rapidi, basati su componenti già sviluppate e reperibili su Web”. È anche per questo, oltre ad essere nativi del mondo mobile, che la maggior parte dei developer iOS e Android sono under 30. “La domanda c’è, in effetti, ma mancano gli specialisti”, continua. Ancora più complesso è trovare chi abbia già maturato esperienze in progetti d’impresa. Come racconta Andrea Todeschini, classe 1983, socio cofondatore di Soluzione1, giovane società del bergamasco che annovera il Gruppo Esselunga tra i propri clienti, “la grande idea, da sola, non basta, va industrializzata. Lo sviluppatore di app deve saper parlare con grafici, account, project manager, e sistemisti”. Un’opinione condivisa da chi ha maggiore anzianità professionale, come Carlo Alberto Negri, freelance consultant: “La competenza pura sulle app serve, ma pone dei limiti. Così come è più difficile avere continuità di lavoro su progetti social o di Web marketing. Meglio il mondo enterprise, che porta nel lungo periodo maggiori profitti”. Da dove partire dunque? “Non certo dalla grande impresa”, dice Negri. “Meglio le start-up o farsi un giro a Londra”.