E-PAYMENT 2.0

Cimatti: “Bitcoin, convertiremo tutta l’Italia”

Parla il presidente di Bitcoin Foundation Italia: “Almeno un esercizio per città e già entro fine 2014 puntiamo alla diffusione nei grandi centri”

Pubblicato il 07 Feb 2014

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Franco Cimatti ha 29 anni e una doppia vita. Di giorno fa il programmatore in un’azienda di elettronica romagnola, di notte e nel tempo libero è presidente di Bitcoin Foundation Italia. Parliamo del neonato capitolo nazionale dell’organizzazione che a livello globale sta cercando di diffondere la cultura e l’utilizzo della crittomoneta inventata nel 2009 da un non meglio precisato gruppo di sviluppatori noto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto. Questa è una delle prime occasioni in cui Cimatti “esce allo scoperto”: per leggere i suoi interventi sul Web bisogna cercare il nickname Hostfat. Ma Bitcoin vuole essere tutto fuorché un mondo alternativo, nascosto, d’élite. Il principio è quello della massima democratizzazione della valuta economica sulla base di un criterio di scelta individuale imperniato sulla fiducia. Fiducia che secondo Cimatti i cittadini non hanno più nei confronti delle istituzioni centrali.
Il 24 novembre è nata la Bitcoin Foundation Italia, un passo importante.
La comunità è attiva dal 2011 su Bitcointalk, il forum ufficiale. Abbiamo deciso di creare la fondazione con un suo statuto e un atto costitutivo perché ci sia un ente a cui le persone possano rivolgersi con sicurezza, visto che se ne dicono tante su Bitcoin.
Che mandato ha avuto? Stando alla vostra filosofia una vera casa madre non c’è.
In realtà finora ce ne sono state due: una negli States e l’altra in Uk. Visto che l’americana ha preso l’inglese come punto di riferimento, siamo intenzionati a fare lo stesso e stiamo valutando i termini dell’accordo. Il nostro compito è promuovere la diffusione della tecnologia, sensibilizzando privati, esercenti e istituzioni rispetto alla possibilità di scegliere per i propri acquisti o per il trasferimento di denaro una valuta che ha costi praticamente uguali a zero e che è libera da vincoli burocratici. Vogliamo che Bitcoin sia riconosciuto legalmente, e che stimoli forte concorrenza anche per i pagamenti dei servizi offerti dallo Stato. L’obiettivo è “convertire” tutta l’Italia, ma nel medio termine puntiamo ad avere in ogni città almeno un esercizio che accetti Bitcoin. Credo che entro l’anno vedremo già i primi risultati nelle metropoli. Un pubblico importante è quello degli immigrati extracomunitari, che con la crittovaluta potranno trasferire il proprio denaro ovunque e senza pagare i fee che impongono i big del money transfer.
Come è percepita nel nostro paese la crittovaluta?
È percepita poco: l’Italia è davvero poco avvezza alle nuove tecnologie.
La diffusione del mobile in Italia può far gioco?
L’esplosione dell’utilizzo degli smartphone, con i servizi che implicano, dai social network alle chat, sta aiutando la diffusione della cultura tecnologica. Ma Bitcoin fa notizia più che altro per il prezzo. Ed è ciò che entra nella mente delle persone: a livello tecnologico non sanno come funziona, mentre pensano che si tratti di speculazione, fondamentalmente una fregatura.
Ma l’apprezzamento rapidissimo non rischia di attirare davvero speculatori?
C’è una sostanziale differenza tra chi specula coi soldi propri e chi lo fa con i soldi degli altri. Detto questo, è un falso problema: con la loro diffusione, il valore dei Bitcoin tenderà sempre più a stabilizzarsi.
L’America considera il Bitcoin non illegale, la Cina ha posto ai suoi istituti finanziari il divieto di usarlo, la Ue tace con scetticismo.
È chiaro che gli americani vogliono proteggere il proprio mercato: non essendoci controllo diretto sono preoccupati per le conseguenze che l’uso di Bitcoin potrebbe avere sull’economia. Ma d’altra parte bloccarli significherebbe prestare il fianco alla concorrenza estera, soprattutto della Russia della Cina, dove la crittovaluta è già una realtà importante. Il vincolo della People’s bank non riguarda i privati, quindi vedremo nei prossimi mesi quali saranno le implicazioni. Per quanto riguarda la Bce, Bitcoin è nato per far concorrenza alle banche. Quindi la comunità si aspettava una reazione del genere.
Il suo riconoscimento non rischia di sottoporla ad alcuni limiti?
Non è possibile. Bisognerebbe cambiare le regole del client. Ovvero entrare nei device del 51% dei possessori di Bitcoin e cambiare il software di tutti quanti.
Quali altre crittomonete esistono?
Anche se Bitcoin detiene almeno il 95% del mercato delle crittovalute, siamo già sulla novantina. Il software è open source, basta cambiare una virgola e si ottiene una moneta diversa, che parte da valore zero ma che ha caratteristiche proprie.
Un esempio?
Litecoin invia la conferma di ricezione del denaro ogni tre minuti anziché ogni 10 minuti come fa Bitcoin. Ogni moneta ha la sua filosofia, e noi sosteniamo che tocchi al mercato decidere quale sia la migliore a seconda della situazione.
Pensa che i brand, soprattutto quelli che hanno già sviluppato propri metodi di e-payment, avranno parte in questa storia?
Non credo, la tecnologia rimarrebbe centralizzata. Non basta un nome e nemmeno una reputazione: serve la decentralizzazione. Google ad esempio potrebbe sviluppare una propria moneta, ma la fiducia di chi l’acquista sarebbe riposta nel team di sviluppatori, non nel brand. Se Google, paradossalmente, sparisse, la moneta dovrebbe sopravvivergli. Nessuno deve più avere il potere assoluto sul denaro.

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