“Il dibattito sulla revisione al rialzo del compenso per copia privata legato ai dispositivi tecnologici nasconde un problema di comprensione dello scenario reale in cui ci stiamo trovando”. È quanto dichiara Cristiano Radaelli, presidente di Anitec.
“Come Anitec riteniamo innanzitutto che debbano essere salvaguardati i diritti degli autori perché venga loro riconosciuto un contributo per l’utilizzo della loro opera d’ingegno, ma il compenso deve essere commisurato al reale sfruttamento dell’opera degli autori e non all’acquisto tout court di un dispositivo tecnologico la cui funzione primaria resta comunque sempre altra – aggiunge Radaelli – È da rilevare come sempre più spesso i brani ascoltati e i film visti su tablet e smartphone non siano ospitati sul dispositivo, ma fruiti in streaming. In questo caso i diritti d’autore sono pagati alla fonte da chi distribuisce il contenuto. Inoltre, rispetto al passato, le piattaforme di acquisto online come iTunes e Google Play rendono molto conveniente e rapido l’acquisto di mp3 e video e rendono di fatto inutile l’effettuazione di una copia privata. Infatti, chi acquista contenuti digitali dai distributori on-line, oltre a pagare in questo modo la licenza, nella maggior parte dei casi, acquisisce anche la possibilità di effettuare un certo numero di copie su diversi dispositivi”.
In un contesto nel quale dunque l’utilizzo della copia privata è in diminuzione per effetto dei cambi tecnologici, Anitec si aspetta una diminuzione del valore complessivo del compenso, in quanto, come già detto, gli autori sono già remunerati in caso di acquisto on-line o di ascolto in streaming.
“Alcuni degli interventi letti in questi giorni, rischiano di essere fuorvianti, mescolando la pirateria informatica con la copia privata – dice Radaelli – La pirateria informatica è un reato e come tale va perseguito, il compenso per copia privata non può e non deve essere un contributo per alleviare gli autori da un possibile utilizzo illecito delle loro opere, come è stato anche recentemente confermato dalla Corte di Giustizia Europea, né tantomeno il compenso per copia privata può tradursi in una tassa sulle nuove tecnologie per sostenere gli autori o i fornitori di contenuto. Cultura e tecnologia sono partner strettissimi: la tecnologia ha permesso la diffusione dei contenuti culturali ad un numero di persone sempre maggiore, garantendo così crescite esponenziali dei relativi mercati: la radio prima, la Tv dopo, internet ora”.
Per Radaelli “il cambio tecnologico richiede che i modelli di business cambino e perciò anche le modalità di remunerazione degli autori devono evolvere contestualmente, come specificato anche nel report preparato per la Commissione Europea dall’ex commissario Vitorino”.
“Per questo motivo abbiamo apprezzato la decisione del Ministro Bray di svolgere un’indagine sulle modalità di utilizzo dei dispositivi tecnologici in merito alla fruizione di opere protette e di valutare come procedere in base ai risultati di tale analisi”.
Nei giorni scorsi Bary era intervenuto in merito all’equo compenso il cui aggioramento è previsto dal decreto bondi del 2009. “Non è prevista nessuna tassa su smartphone e tablet e le ipotetiche tariffe pubblicate in merito agli aumenti di costo sono infondate”, ha puntualizzato il titolare dei Beni Culturali rispetto alle notizie su una nuova tassa sui telefonini nei prossimi giorni.
La norma a cui si fa riferimento, specificava il ministero, è quella relativa all’equo compenso per i produttori di contenuti, regolata attraverso decreto ministeriale, in attuazione di una norma vincolante europea che impone rinnovi triennali.
Il precedente decreto del 2009 è già scaduto e il ministro Massimo Bray “sta lavorando a una soluzione condivisa, nel rispetto e nella difesa del valore del diritto d’autore, ascoltando tutte le categorie interessate per raggiungere una decisione equilibrata nell’interesse degli autori, dei produttori di smartphone e tablet e, soprattutto, dei cittadini fruitori degli stessi”.
Anche Confindustria cultura aveva chiarito il concetto: “Priva di fondamento l’ipotesi per la quale l’industria culturale, gli editori e gli autori di questo Paese abbiano chiesto al Governo una nuova tassa sui dispositivi di nuova generazione (smartphone, tablet ecc). Le cifre che circolano sui mezzi di informazione non corrispondono al vero e servono soltanto a creare disinformazione e inutili polemiche tra gli operatori”. “L’adeguamento dei compensi per le riproduzioni personali a scopo privato di opere digitali è un atto dovuto dalla legge ed è finalizzato a sostenere la cultura di questo Paese e i lavoratori del settore. Come succede ovunque in Europa”.
La smentita era arrivata dopo l’attacco dei consumatori in vista della decisione del ministro della Cultura: per le prossime settimane è attesa infatti la decisione sull’eventuale “compenso” maggiorato su tablet e smartphone, in base all’aggiornamento del decreto Bondi del 2009. Secono Adoc e Adinconsum si tratta di una tassa ingiusta che non farà altro che comprimere i consumi e bloccare i processi di innovazione del Paese.