Call center all’estero, i sindacati: “Partono le denunce”

I rappresentanti di Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Ui annunciano battaglia contro la delocalizzazione “selvaggia”. Esposti a Garante per la privacy, Procura generale di Roma e ministero del Lavoro: “Ripristinare la legalità. Nessuno informa i cittadiini, e i lavoratori sono senza tutele”

Pubblicato il 19 Feb 2014

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Le prime denunce partiranno nei prossimi giorni e saranno indirizzate alla Procura generale di Roma, al Garante per la privacy e al ministero del Lavoro. Poi le singole realtà territoriali di Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil presenteranno gli esposti, azienda per azienda, alla Procura della repubblica volta per volta competente, così come alla direzione provinciale del Lavoro di appartenenza. E’ la scelta dei sindacati che hanno deciso in questo modo di innalzare il livello dello scontro sulla delocalizzazione dei call center, chiedendo alle istituzioni e a tutte le autorità preposte ai controlli che vigilino direttamente sul rispetto della legge, in particolare di quell’articolo 24 bis del Decreto sviluppo varato nel 2012 che oggi sarebbe in gran parte disatteso dalle aziende.

Quello dei call center in outsourcing è un settore che occupa in tutto più di 75mila lavoratori, di cui 43mila “in bound” e 33.500 “out bound”, con contratti cioè di collaborazione a progetto. Il 63% dei lavoratori, secondo i dati forniti dai sindacati durante la conferenza stampa che si è svolta questa mattina in via Salaria a Roma, nella sede della Cisl Reti, è concentrato nelle aree del Sud, il 37% nel Centro Nord. L’età media delle persone occupate in questo settore è inferiore ai 30 anni.

“Vogliamo mettere in risalto il dramma delle delocalizzazione, soprattutto per i call center, che ha raggiunto un livello insopportabile – afferma Giorgio Serao, segretario generale Fistel-Cisl – E’ una vicenda che si trascina da anni, e le attività delocalizzate dalle Tlc continuano ad aumentare. Ormai il fenomeno si estende anche ad aziende di altri settori, come quello dell’energia. Con gli emendamenti al decreto sviluppo dopo il 24bis della Fornero si era riusciti a inserire alcune tutele in questo campo, ma le gare al massimo ribasso continuano, e diminuiscono salari e diritti. Avevamo più volte richiamato le aziende al rispetto delle regole, senza finora ottenere risultati. Sarà un’operazione a tappeto – prosegue Serao – non vogliamo colpire qualcuno in particolare. Non è una minaccia, né per le aziende né per i lavoratori, ci rendiamo conto che è una questione delicata e che spesso sono in gioco i lavoratori e le imprese. Ma il Paese ha bisogno di etica, ed è necessario partire dal rispetto delle leggi e delle regole”.

“Voglio citare un esempio emblematico – dice Michele Azzola, segretario generale Slc Cgil Avago technologies è un’azienda statunitense con alcune decine di dipendenti in Italia: ci ha convocato per dirci che licenziava per riportare in Usa le attività, dal momento che il governo americano incentiva questi processi. Con l’articolo 24 al Decreto sviluppo avevamo pensato a uno scenario del genere, a tutelare le imprese che decidevano di rimanere in Italia, a fare chiarezza. I primi sei commi tutelano dati sensibili e occupazione, il settimo prevede di poter utilizzare i contratti a progetto. Bene, i primi sei commi sono stati totalmente disattesi, il settimo puntualmente applicato. Siamo di fronte ad aziende pubbliche, Enel, Acea Roma, che fanno bandi di gara in cui prevedono la delocalizzazione all’estero. Vuol dire che non si vuole aiutare il nostro Paese a uscire dalla crisi. Parliamo di un settore – aggiunge Azzola – molto finanziato attraverso sgravi fiscali e incentivi, in cui negli ultimi tre anni lo Stato ha speso 480 milioni di euro, senza creare nessun posto di lavoro”.

“Quello delle Tlc è un settore che ha dato occupazione a 80mila persone, soprattutto al Sud – aggiunge Salvo Ugliarolo, segretario generale della Uilcom-Com -. Oggi circa 15mila lavoratori fanno questo lavoro fuori dal nostro Paese, lavorano fuori dall’Italia per l’Italia, dove i lavoratori guadagnano un quarto di quanto si guadagnerebbe nel nostro Paese. Sperando che il 24 bis potesse sortire qualche effetto, ma siamo stati chiamati a contenere esuberi e momenti di crisi, utilizzando anche ammortizzatori sociali. Spesso queste aziende in Italia utilizzano soldi pubblici, e intanto portano attività fuori dal nostro Paese e di fatto fanno dumping contro chi non delocalizza. Tra l’altro – conclude Ugliarolo – non si può sottovalutare il fatto che i dati sensibili di cittadini italiani, con queste delocalizzazioni, vengono spostati e gestiti in Paesi che spesso sono al di fuori anche dell’Unione europea, e che questo li sottrae da qualunque controllo, senza le garanzie che ci sarebbero in Italia. E poi i cittadini dovrebbero per legge poter scegliere di parlare con operatori che chiamano dall’Italia, ma di fatto nessuno dà loro questa possibilità”.

“Ci siamo seduti a un tavolo al Mise sui call center dove chiedevamo la riduzione dell’Irap, per un costo complessivo di 20-30 milioni di euro: ma senza risultati. Ora chiediamo la riapertura di quel tavolo per ragionare sul fatto che non possano essere accettabili gare al massimo ribasso che costano meno del costo contrattuale dei lavoratori. Chi lo fa poi delocalizza, o dichiara la crisi aziendale: un danno per tutti i cittadini, con la distribuzione non equa di risorse pubbliche. Tutte le Tlc delocalizzano, ma c’è anche una grande responsabilità delle aziende dei call center, che si sottraggono le commesse tra loro con una concorrenza selvaggia. L’unico che ha rinunciato a delocalizzare è Almaviva, e sta vivendo una gravissima crisi occupazionale su Palermo, dove sono minacciati migliaia di posti di lavoro. Se chi mantiene il lavoro in Italia deve morire siamo alla frutta”.

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