Ormai ci siamo abituati. Ogni volta che escono le classifiche internazionali sulla velocità della banda larga iniziamo a scorrere le tabelle partendo dal basso alla ricerca del posizionamento del Belpaese.
L’ultimo rapporto Akamai sullo “stato di Internet” è l’occasione più recente (terzo trimestre 2013), che mostra il primato della Corea del Sud, con un valore medio pari a 22,1 Mbps di download e un picco di 63,6 Mbps, davanti a Giappone e Hong Kong. Seguono quattro paesi europei con velocità comprese tra 11,1 Mbps e 12,5 Mbps. Gli Stati Uniti sono all’ottavo posto, con 9,8 Mbps.
L’Italia occupa la 48esima posizione con 4,9 Mbps, mentre gli altri quattro principali paesi dell’Unione europea presentano valori compresi tra i 9,1 Mbps del Regno Unito e i 6,5 Mbps della Spagna. Poco significativo il calo riscontrato dall’Italia nell’ultimo trimestre, ma è vero come la velocità media sia cresciuta del 24% da noi contro il 46% in Olanda, mentre la velocità di picco non cresce.
Al di là dell’ormai nota assenza in Italia delle infrastrutture della televisione via cavo che in altri paesi hanno stimolato una competizione sulle prestazioni va comunque ricordato come in realtà siano ancora meno del 10% gli utenti Internet italiani che hanno aderito alle offerte a 20 Mbps (nominali, ma che consentirebbero comunque di andare oltre i 10 Mbps), disponibili a più del 75% della popolazione, con un piccolo sovrapprezzo (sono sempre di più gli operatori che lo hanno addirittura eliminato) rispetto all’offerta di base.
È quindi un problema di infrastrutture o di domanda? L’eterno dilemma italico.