«Non mi occupo solo di tecnologia ma di come la tecnologia produca informazioni utili all’azienda”. Fabrizio Virtuani dal settembre 2012 ha la carica di Direttore Tecnologie dell’Informazione di Poste Italiane: “Prima sono stato per quindici anni in Bain & Company, dove ho seguito oltre cento progetti di trasformazione dell’Ict in 55 aziende italiane ed europee di primaria grandezza”, spiega. La sua è una prospettiva unica dal vertice di Poste Italiane, colosso con 13mila sportelli, 150mila dipendenti, utili sopra il miliardo e una dozzina di business diversi.
“Dal mio punto di vista – dice Virtuani – la sfida è fare innovazione mentre si ottimizza l’esistente”.
Virtuani, con quale logica?
Mettere in comune le infrastrutture tra più business per sfruttare sinergie, opportunità di sviluppo ed integrazione delle offerte. Centralizzare per ottimizzare investimenti, esercizio e manutenzione dei sistemi. E anche per avere risorse a disposizione per nuovi business, come facciamo noi e come fanno alcuni altri grandi player, ad esempio Amazon. Il decentramento fa sembrare le singole divisioni dell’azienda più veloci ma in realtà è dannoso nel medio termine perché non permette di creare innovazione e sfruttare sinergie.
Quali sono le conseguenze di questa scelta strategica?
La mia esperienza è che la centralizzazione porti ad efficientamento, miglior governo e più facile innovazione. Se ragiono in termini di integrazione, anziché migliorare una singola piattaforma, ragiono sulle grandi trasformazioni, posso mettere ad esempio a fattor comune le richieste dei diversi business e sfruttare l’opportunità per innovare. Anche un obbligo normativo o di compliance bancaria può diventare opportunità di innovazione, e tutti i business arrivano a beneficiarne, condividendo gli investimenti.
Poste ha grandi moli di dati da trattare ogni giorno. Sono Big data?
Le do alcune cifre: abbiamo 50 milioni di transazioni economiche al giorno, composte da oltre 200 milioni di transazioni tecniche elementari. Più di 4 miliardi di invii all’anno di prodotti postali. Tutti i nostri sistemi sono nativi per i Big data, che per noi sono una opportunità concreta di business. Ad esempio: grazie ad un avanzato sistema di analisi e rendicontazione in tempo reale unito alla tracciatura degli invii abbiamo vinto diverse importanti gare, come quella per le nuove patenti europee degli italiani.
Come si compone il network?
Abbiamo sette datacenter, organizzati attorno ai poli di Roma, Torino e Milano. Il ridisegno della struttura mira a garantire il bilanciamento dei carichi di lavoro attraverso farm hi-tech che erogano servizi, in logica di condivisione delle risorse e di cloud privato, unito ai sistemi di replica sincrona dei dati per il disaster recovery per noi è importantissimo.
Perché?
La nostra è una infrastruttura critica, che non tollera interruzioni di servizio. Progettiamo e sviluppiamo tutto pensando alla solidità e sicurezza intrinseca degli applicativi e soluzioni. Inoltre la sicurezza è garantita anche dai sistemi di cybersecurity e dal nostro Cert, uno dei più importanti in Europa.
Quali opportunità da cloud e virtualizzazione?
Disaccoppiare il ciclo di vita delle applicazioni da quelli dei sistemi operativi e dell’hardware. E ogni volta che un sistema operativo arriva a end-of-life o un hardware diventa obsoleto, per noi è una opportunità per decidere se rinnovare o trasformare le piattaforme. È un momento importante anche per i nostri fornitori perché si capisce quanto vogliono essere partner della nostra azienda e supportarci nel cambiamento.
In Italia si parla molto di cloud. Qual è la sua opinione?
Se ne parla anche troppo. Mi sono trovato a implementarlo realmente partendo da zero per servizi sia interni sia verso l’esterno. Ho capito che deve essere facile da configurare e da usare, e deve avere sicurezza e affidabilità di prim’ordine. Un servizio end-to-end, dalla fase di avvio all’assistenza post-vendita. Molte offerte sul mercato sembrano economiche però in realtà sono deboli su tutti questi aspetti.