“La richiesta di aumenti avanzata dalla Siae è da rigettare”. E’ la posizione dell’Istituto Bruno Leoni sull’aggiornamento dei compensi per copia privata, uno dei prossimi provvedimenti di cui il ministro per i Beni e le Attività culturali dovrà occuparsi, lasciato sul tavolo dal suo predecessore. Il compenso, già vigente, si applica su supporti fonografici e audiovisivi data la possibilità di memorizzarvi copie coperte dal diritto d’autore.
“La cosa meno opportuna che potrebbe fare il ministro Franceschini – scrive Diego Menegon nel focus ‘La Siae e l’iniquo compenso per copia privata’ – è di partire dalla bozza proposta a dicembre dalla Siae: bozza che risente di un ovvio conflitto di interessi. Semmai sarà bene dar seguito alle intenzioni enunciate dall’allora Ministro Bray di svolgere preliminarmente un’analisi di mercato per avere una stima più precisa di quanto, in effetti, i supporti a cui si applica l’equo compenso siano impiegati per creare copie private di opere tutelate dalla Siae“.
“Se anche ci dimenticassimo che il compenso per copia privata è ben poco equo nella sua indiscriminata applicazione a chi non utilizza i telefonini e computer per ascoltare e memorizzare film e canzoni – afferma Menegon – una sua accettazione non può implicare la previsione di importi completamente sconnessi all’evoluzione tecnologica e degli stili di consumo, che oggi giustificherebbero, anziché un aumento, una riduzione delle tariffe vigenti”.
“Difficile sostenere, come fa il presidente della Siae, che il compenso non graverebbe sui consumatori, bensì sui produttori – continua Menegon – o incolpare i produttori di scaricarne il costo sui clienti. Quando si introduce un ulteriore costo in una transazione, è naturale che le curve della domanda e dell’offerta si spostino, traslando l’equilibrio, a parità di altri elementi, in corrispondenza di un prezzo più elevato e una quantità del bene inferiore a quelli che si sarebbero determinati in assenza dell’intervento”.
“In realtà – prosegue – ci sono due buoni motivi per sostenere che i compensi andrebbero ridotti, anziché aumentati. Il primo riguarda essenzialmente i compensi parametrati alla memoria contenuta nel disposto. Ogni anno sono realizzati nuovi software, applicazioni, estensioni di file la cui installazione e il cui utilizzo richiedono una memoria crescente. La risposta del mercato è stata lo sviluppo di dispositivi in grado di contenere più memoria in meno spazio. Di fatto, il valore d’uso di un GB è decrescente nel tempo, in quanto anche i file sono sempre più “pesanti”; quindi il compenso dovuto dovrebbe nel tempo diminuire, anziché aumentare. Il secondo motivo riguarda l’evoluzione degli stili di consumo di musica e altri contenuti audiovisivi in voga e gli strumenti che nel tempo le collecting society hanno perfezionato per remunerare il diritto d’autore. L’avvento di canali come Youtube e dei social network hanno ridotto la propensione a riempire cd e dvd di opere musicali. Le persone hanno iniziato ad ascoltare la musica offerta on demand su Internet, che consentono loro di aver una minor cura di tenere una copia privata nel proprio disco fisso o in altri supporti, dato che lo streaming internet è alla portata sia di mouse che di touchpad”.
Insomma, i consumatori avvertono sempre meno il bisogno di fare una copia privata di un cd musicale o di scaricare le canzoni in modo illegale – conclude Menegon – perché la musica è sempre più accessibile con un click ed è ben conservata nei computer delle grandi società IT, che d’altra parte non intendono correre il rischio di esser accusati di cavalcare la pirateria e l’illegalità. La Siae l’ha ben compreso e si è mossa nella direzione giusta, volgendo a proprio favore le nuove tecnologie di internet. Dai nuovi stili di consumo deriva una riduzione della propensione a realizzare copie private o illegali di opere protette e di questo il decreto dovrebbe tener conto”.